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Transformers: quella benedetta generazione Ypsilon

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Per descrivere la generazione dei nati negli anni ’80, la parola giusta è trasformazione. Eppure, sembra che non abbiano fatto molto per la società. Ma è davvero così?

Qualche giorno fa, mentre ascoltavo un podcast sui diritti civili, un ragazzo con la metà dei miei anni ha detto che la nostra generazione “non ha fatto nulla”. Ebbene, alla soglia dei 40 anni devo dire che non sono d’accordo: i nati come me negli anni ’80 sono la generazione della trasformazione.

Ci hanno cresciuto a pane e posto fisso, dicendoci che se ci fossimo impegnati avremmo potuto fare il lavoro che volevamo. Quando siamo entrati nel mondo del lavoro abbiamo visto uno scenario molto diverso da quello per il quale ci avevano preparato.

Poco lavoro, posto fisso – che era già un’utopia – e un mondo che cambiava ad una velocità informatica che non sapevamo nemmeno cosa fosse, visto che avevamo studiato in analogico e al massimo a scuola c’erano le scritte verdi del dos che tamburellavano sullo schermo nero.

È vero, magari siamo scesi in piazza poco e niente ma abbiamo lottato, resistito e ci siamo adattati conquistando uno spazio che non c’era, e creando anche un lavoro che non c’era.

Ci siamo scontrati con gli adulti che ci credevano fannulloni o esagerati quando il contratto scadeva e dovevamo riniziare da capo. Ci dicevano che il digitale era solo un gioco e una perdita di tempo. Abbiamo sperimentato il valore e la fatica delle piccole conquiste ma nel frattempo ci accusavano di vivere sulle spalle dei genitori.

Dai milioni di lire degli stipendi dei nostri genitori siamo diventati la generazione mille euro, con il potere d’acquisto dimezzato e le cose ‘normali’ (la casa o l’auto ad esempio) inaccessibili. Per non parlare della pensione: da quando lavoriamo ci dicono che dovremmo farlo per sempre con la prospettiva di una vecchiaia povera a meno che, di nuovo, non ci impegneremo abbastanza da assicurarci la nostra ricchezza.

Noi, dopotutto, siamo andati avanti: abbiamo studiato, abbiamo imparato ad allargare la visione in un mondo globale e più capitalista della nostra infanzia, li abbiamo convinti che potevamo farcela e oggi gli adulti siamo noi.

Abbiamo preparato il terreno per il futuro e siamo quelli che insegniamo a stare al mondo ai nostri figli e ai nostri genitori che il mondo, in fondo, non lo capiscono più.

Siamo sopravvissuti e abbiano messo le basi per un futuro nuovo tracciando una via.

Conosciamo il fascino di una biro su un nastro di una musicassetta, la televisione a tubo catodico, il cortile e i videogame solo in sala giochi ma siamo abili con il digitale senza fare troppe storie – anche se non ci siamo nati – e il primo cellulare lo abbiamo avuto, se andava bene, a 18 anni.

La teoria darwiniana dell’evoluzionismo afferma che chi sopravvive non è il migliore, ma quello che si è adattato meglio.

Quindi, caro ragazzo, ne riparliamo tra 20 anni! 😉

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