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Montenero, il quartiere dimenticato

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Un pomeriggio qualunque decido di portare mio figlio di 5 anni in visita a Montenero, prendendo la funicolare. Ci siamo già stati, ma era piccolo, così parcheggiamo l’auto e saliamo su. Ecco quello che ho trovato e ritrovato, facendo un giro nel quartiere più prestigioso e allo stesso tempo ignorato della nostra città.

Ricordi che tornano a galla direttamente dagli anni ’80, quando ero piccola e andava di moda andare al santuario di Montenero, anche per noi che non eravamo credenti. La funicolare non è cambiata molto e neanche tutte quelle case lungo la via, con i loro microgiardini pensili vista binari. Li ho sempre trovati affascinanti e mi sono sempre domandata se e quanto vibrassero quelle case al passaggio di questo vecchio trenino.

Presi dalla vista arriviamo su, scendiamo e ci troviamo in piazza. Quello che troviamo, non è quello che mi aspettavo e che avevo raccontato a mio figlio. Ci avevo immaginati seduti al bar all’angolo con un bel gelato in mano e alle nostre spalle il santuario, il colle Montenero e davanti “tutta Livorno”, ma il bar all’angolo è chiuso.

Ancora speranzosi raggiungiamo l’altro locale, quello più vicino alla scalinata che porta al Santuario, ma anche quello è chiuso. Beh…non c’è modo di comprare un gelato! Per fortuna ho una borraccia con dell’acqua nello zaino. Almeno quella! Nonostante la delusione entriamo nella galleria degli ex voto, in chiesa, nel cortile interno, compriamo del miele alla farmacia dei monaci, poi ci dirigiamo verso quelle che un tempo erano le grotte di Montenero. Prima di uscire mi colpiscono due distributori di acqua, merendine e caffè e penso che forse non è un caso che ce l’abbiano messe…

Ancora fiduciosa, porto mio figlio verso le grotte e lo spettacolo è degrandante: erba alta, sporco per terra, residui di lavori mai terminati o forse neanche mai cominciati, insomma un luogo in stato di semiabbandono. La delusione è tanta.

Non sono credente, ma Montenero come luogo di fede, di storia e con la sua Madonna “Mater Etruriae”, patrona della Toscana non può ridursi in questo stato. Cerco di capire meglio, per cui ci fermiamo ad una delle poche baracchine aperte, di quelle che vendono oggetti religiosi e non solo, e chiedo al signore che lo gestisce perché è tutto chiuso. La risposta è diretta e forte “perché tutti se ne fregano”. Uno dei bar è chiuso a causa della malattia del proprietario e non ha più riaperto, l’altro il lunedì e il martedì non apre, uno dei ristoranti è aperto solo di sera, “quelli del santuario fanno vita a sé”.

Ci allontaniamo, penso che forse sono scaduti i 70 minuti di durata del biglietto per la funicolare, per cui torno dal signore tanto gentile ed educato del banchetto. La risposta è un ulteriore delusione: non ci sono distributori automatici di biglietti e lui non li ha, perché l’unico bar che li tiene è quello giù, in Piazza delle Carrozze, dal quale lui compra puntualmente un tot di biglietti a suo rischio, che poi rivende allo stesso prezzo, ma quel giorno il tizio del bar non glieli ha portati. Controllo l’orario e per fortuna i 70 minuti non sono ancora passati, possiamo tornare giù.

Arriviamo in Piazza delle Carrozze e ci fermiamo al bar a fare merenda. Mi rimane l’amaro in bocca per un luogo e un tempo che fu, pensando a quanto siamo impotenti di fronte a scelte prese dall’alto e da altri e a quanto sarebbe bello poter dire che nel nostro paese sappiamo valorizzare al massimo ciò che abbiamo.

I luoghi, i monumenti e tutte le storie ad esse collegati non possono andare avanti da soli.

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