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La fuga dei cervelIi italiani non è ancora finita

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Fermiamo la fuga dei cervelli o ce ne pentiremo.

La fuga dei cervelli è un fenomeno che da anni affligge l’Italia, in particolare nel settore della ricerca. Secondo uno studio condotto da Leopoldo Nascia pubblicato nel 2021 dal titolo “Staying or leaving? Patterns and determinants of Italian researchers’ migration”, il 42% degli Italiani che hanno ottenuto un dottorato all’estero sceglie di non fare ritorno in patria.

Dalla crisi del 2008 il sistema italiano ha costantemente tagliato i fondi alla ricerca e sviluppo e il numero di professori e ricercatori in servizio negli atenei. I fondi in ricerca e sviluppo sono passati dai 9.9 miliardi del 2007 agli 8.3 del 2015, in un contesto di generale riduzione della spesa pubblica. Questo a sua volta ha avuto un forte impatto sulle risorse umane, soprattutto a livello universitario, dove il numero di professori e ricercatori di ruolo è diminuito del 20 per cento tra il 2009 e il 2016 (da 60.882 a 48.878 ricercatori).

Parallelamente, l’avanzamento di carriera è stato ampiamente ritardato, determinando un continuo aumento dell’età media del personale universitario (52,6 anni) e dei professori ordinari (60 anni). La mancanza di turnover e il rallentamento dell’avanzamento di carriera sono all’origine di tale caduta.

Nello stesso periodo, 44.345 giovani borsisti hanno ricevuto un assegno di ricerca. Entro il 2018, il 61% di loro era senza lavoro universitario, il 29% è rimasto in una posizione post-dottorato, il 9% è diventato un ricercatore universitario a tempo determinato e meno dell’1% ha ottenuto contratti di professore associato.

Allo stesso tempo, l’emigrazione fuori dall’Italia è fortemente aumentata. I migranti sono passati da 52.000 nel 2012 a 82.000 nel 2017. Se si tiene conto del rientro di italiani dall’estero, la perdita netta di cittadini sopra i 25 anni in Italia ha raggiunto i 276.000 tra il 2012 e il 2017, di cui 77.000 laureati. I deflussi netti annuali sono passati da 32.000 nel 2012 a 54.000 nel 2016 e 51.000 nel 2017. I deflussi netti di migranti con un titolo universitario sono aumentati da 8.800 a 13.500, un quarto di tutti i migranti netti.

La tendenza descritta conferma un trend particolarmente preoccupante già osservato in Italia negli anni precedenti. La perdita di capitale umano altamente formato può infatti comportare parecchi problemi per un paese che si trovi in quella situazione per parecchi anni. In primo luogo, il Paese perde i suoi talenti migliori, che potrebbero contribuire alla crescita economica e alla competitività del sistema scientifico nazionale. In secondo luogo, si verifica un impoverimento del tessuto sociale e culturale del paese, in quanto molti di questi ricercatori sono giovani e altamente qualificati. Inoltre, la sua persistenza può innescare un circolo vizioso nel paese in questione. L’impoverimento del tessuto sociale e della competitività del paese può portare sempre meno talenti a rientrare.

Secondo lo studio, i ricercatori italiani in Italia segnalano condizioni di lavoro significativamente peggiori rispetto ai ricercatori italiani all’estero, come evidenziato da livelli inferiori di contratti a tempo indeterminato nella maggior parte delle fasi di avanzamento di carriera e in tutti i campi di studio. Inoltre, i ricercatori italiani che si trovano in Italia percepiscono il loro sistema nazionale come favorevole ad assunzioni non trasparenti e non basate sul merito e sono generalmente insoddisfatti dei loro livelli di remunerazione. Mostrano bassi livelli di fiducia nelle prospettive di carriera futura. Di conseguenza, la mancanza di opportunità professionali e la volontà di migliorare le condizioni di lavoro sono identificate come le ragioni principali per cui i ricercatori italiani decidono di trasferirsi all’estero.

A ben vedere, il problema principale per il nostro Paese, più che l’elevato numero di ricercatori che decide di trasferirsi all’estero è rappresentato dal basso numero di ricercatori o professori che decidono di trasferirsi in Italia. In un sistema economico, quello europeo, altamente interconnesso, lo scambio di conoscenza e capitale umano tra università di diversi paesi dovrebbe rappresentare un valore aggiunto. Il caso italiano invece sembra non riuscire a rientrare in questa casistica.

Per invertire il trend della fuga dei cervelli in Italia, è necessario creare un ambiente favorevole alla ricerca, investendo nella formazione e nell’innovazione. Inoltre, è importante fornire opportunità di lavoro e di sviluppo per i giovani talenti italiani altamente qualificati. Il legislatore italiano dovrebbe prendere in considerazione l’adozione di politiche di incentivazione e di sostegno per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, al fine di creare un ambiente favorevole per l’innovazione e la crescita economica.

Fonte Foto: https://www.huffingtonpost.it/entry/exit-only-continua-la-fuga-dei-cervelli_it_618101cbe4b0bf8728dc6844/

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