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Di simbolo in simbolo: la disastrosa evoluzione della sinistra

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Una riflessione sui risultati elettorali che guarda alla sostanza ma anche all’apparenza. Perché in politica i simboli contano, e anche molto.

Dopo i risultati elettorali, ho fatto una doverosa riflessione politica. A differenza delle altre volte, ho seguito di più la campagna elettorale in televisione che sul campo e mi sono reso conto che la sinistra aveva già perso ancor prima di iniziare. Per diversi motivi.

Da anni il Partito Democratico, che raggruppa gran parte dei partiti politici che stazionano a sinistra, non si è mai avvicinato al popolo cercando di capire i problemi reali della gente, come diminuire il costo della vita, aiutare le aziende in difficoltà, trovare le coperture idonee per aumentare gli stipendi, ma si è preoccupato piuttosto di argomenti meno popolari, ad esempio il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Mi piacerebbe fare un piccolo sondaggio per capire se i comuni mortali sanno cosa sia questo PNRR. Già nel 2018, i cittadini che erano orientati verso il PD ci avevano fatto capire che quella sarebbe stata l’ultima chiamata, a meno che qualcosa non fosse cambiato. Beh, quel qualcosa non cambiò, perché nel marzo del 2021, a seguito delle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti, l’assemblea nazionale del partito prima suggerì Enrico Letta, che fu poi effettivamente eletto.

Da ex militante, con l’elezione di Enrico Letta come segretario del PD (quell’Enrico Letta silurato con il celebre tweet “Stai sereno, Enrico” dall’allora segretario del PD Matteo Renzi), ero sicuro che la disfatta elettorale sarebbe stata scontata; non tanto perché militanti di sinistra e militanti del PD avrebbero votato a destra, ma perché immaginavo non avrebbero votato proprio (mi riallaccio su questo alla riflessione sull’astensionismo a sinistra che Valerio Ferretti fa proprio su questo blog).

Insomma, nella notte di domenica 25 settembre, con l’aiuto del mitico Enrico Mentana, ho appreso che la coalizione del centro-destra ha ottenuto più o meno gli stessi voti delle elezioni 2018; in questa tornata elettorale vuol dire che comunque gli elettori si sono fidati della fiamma tricolore che, se la mente non mi tradisce, era il simbolo del Movimento Sociale Italiano, che a quel tempo aveva come leader Giorgio Almirante.

Masochisti quali siamo i nostri simboli li abbiamo straziati: a Rimini, nello scioglimento del Partito Comunista il 3 febbraio 1991 e nella formazione del nuovo partito politico PDS, la falce e il martello furono messe alla base di una quercia, proprio lì dove urinano i cani. Il 14 febbraio 1998 poi, dopo gli Stati Generali della Sinistra, il partito cambiò nuovamente nome e simbolo, aprendo ai gruppi provenienti dalla tradizione laica, socialisti e ambientalisti, togliendo (per fortuna) da dove urinano i cani la falce e il martello e mettendo al loro posto una rosa, simbolo di… ancora non lo ha capito nessuno. Arriviamo quindi alla formazione del PD nell’ottobre 2007, quando furono tolti alberi e rose e messe due lettere che graficamente formano un tricolore.

Nell’evoluzione dei simboli siamo arrivati, appunto, ad un tricolore che non rimanda in alcun modo alla storia del nostro partito, il Partito Comunista Italiano. Questo ha fatto sì che neanche i “vecchi” sostenitori della sinistra si siano fidati di dare il voto al quel simbolo, senza stare neanche a vedere chi fosse il leader e quale fosse il programma.

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