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Visioni della Livorno che sarà – episodio 17

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Natura contro cultura

La città di Livorno sta discutendo e preparando il nuovo Piano Operativo. E’ l’occasione per immaginare il futuro della città e avere diverse visioni di quel che sarà. L’avvocato Ruggero Morelli ha raccolto alcuni pensieri di concittadini appassionati e ce li ha inviati. Li racconteremo in questa rubrica, episodio dopo episodio. Ecco il diciassettesimo.

Per generazioni siamo cresciuti plasmati nella dicotomia Natura vs Cultura: non solo nella separatezza fisica tra aree naturali e aree antropizzate o edificate, ma anche nella radicata concezione che all’umano si contrapponesse ciò che è non umano e, dunque, liberamente utilizzabile, trasformabile a piacimento, sfruttabile all’occorrenza, dilapidabile. La Natura è stata deliberatamente separata dall’umano che ha costituito il suo regno, chiamato cultura e società. Tanto il regno della Natura è caratterizzato da leggi stabili, quanto il dominio umano è sede di instabilità e variabilità di comportamenti, non innati ma acquisiti, ritenuti espressione della capacità dell’uomo di liberarsi dai vincoli della Natura per ergersi in una posizione di vantaggio.

Negli anni più recenti questa dicotomia, insieme alle certezze che ne derivavano, si è disgregata grazie agli sviluppi e alle ibridazioni delle scienze naturali e di quelle umane, grazie ai sempre più stretti contatti tra la cultura occidentale con quelle assai diverse dei paesi emergenti, mentre le crisi ambientali ed energetiche scatenavano movimenti dal basso e prese di posizione degli organismi sovranazionali in una prospettiva di protezione paternalista. La crisi innescata dalla pandemia, che ha colpito duramente buona parte del pianeta, ha posto in luce nuovi valori ed esigenze, individuali e collettivi: un’attenzione decisamente orientata ai temi della vivibilità delle città e degli spazi urbani, così come della qualità della vita (cercata spesso fuori dalle città) e del benessere psicofisico; la necessità di migliorare la cura degli spazi privati e pubblici in cui abitiamo, potentemente capaci di influenzare atteggiamenti e stili di vita; l’esigenza di conciliare vita lavorativa e privato con l’adozione diffusa del lavoro agile; non ultima, l’urgenza di cooperare per la sostenibilità ambientale.

Di fronte ai dati climatici allarmanti che prevedono un aumento di 5 gradi di qui al 2100, con ondate di calore, nubifragi, disastri in agricoltura, scioglimento dei ghiacci, migrazioni epocali, come possiamo pensare di non agire partendo dall’ambiente? Come possiamo non coltivare il seme di un nuovo paradigma che tenti di unire in profonda relazione natura e società? Più nello specifico, come possiamo sottrarci dal delineare una visione lungimirante del territorio vasto e interconnesso in cui si fonda la nostra città?

Alla luce di queste considerazioni d’insieme, Livorno con i suoi dintorni ha un potenziale altissimo da sviluppare, partendo dalla sua felice posizione geografica e dal suo assetto urbanistico, culturale, paesaggistico e agricolo. Immaginazione e idee, salvaguardia e trasformazione, impegno e dialogo, azione. Nessuno ha la soluzione in tasca, ma molti progetti pilota, nati come sfide, dimostrano che le buone prassi esistono, ma funzionano solo quando la società civile riesce efficacemente a dialogare con gli amministratori del territorio, che si propongono quali catalizzatori delle fasi di ascolto, ideazione, pianificazione ed esecuzione. Nell’attuale società liquida, dove i saperi più avanzati sono quelli frutto di ibridazioni, i progetti pilota innovativi sono quelli in cui, al fianco di tecnici e ingegneri, partecipano, fin da subito e con pari dignità, urbanisti, paesaggisti, artisti, storici, antropologi, filosofi. Nuove connessioni tra città e cittadini con l’ampio e verde territorio circostante dovrebbero essere improntate alla realizzazione di operazioni di recupero di giardini, parchi, ville di campagna dirute e zone boschive, anche attraverso progetti di sostenibilità ambientale ed energie rinnovabili (ad esempio l’agrivoltaico). Uscire dalla crisi è forse ancora possibile, ma a patto di adottare il paradigma del ‘comunitarismo’ (Pàlsson), secondo cui Natura e società non sono e non devono essere considerate scisse, bensì unite in profonda relazione dialogica e di reciprocità. L’azione umana non avviene in opposizione o a tutela della natura, ma all’interno di essa.

Dal recupero dell’unità di visione dell’uomo e del contesto in cui vive discendono in maniera del tutto ovvia una serie di azioni che pertengono il senso della comunità, o meglio delle comunità.

Per brevità citerò solo due che mi stanno a cuore.

La prima è l’adesione all’iniziativa lanciata nel 2006 dall’OMS delle “Città Age Friendly” per rispondere alle esigenze di benessere e coinvolgimento attivo della popolazione che invecchia. I progetti di questo programma riguardano direttamente le persone over 50 (con azioni diversificate in base alle fasce generazionali), ma sensibilizzano di riflesso tutta la comunità, in particolare le persone che svolgono lavori di servizio al pubblico (dal parrucchiere al farmacista).

La seconda azione riguarda la chiamata dei luoghi di cultura della città, e i musei in particolare, al ruolo di “Social Landmark” (Dichiarazione di Funchal), ovvero istituzioni dinamiche al servizio delle comunità. I luoghi di cultura sono certo custodi dei tesori e della memoria storica della città, ma devono assolvere oggi al compito di punto di riferimento sociale. Ciò vuol dire rispecchiare la città presente nel suo divenire e offrirsi come luogo di riflessione per il suo progetto futuro, dove tessuto urbano, territorio vasto e le diverse comunità si intrecciano.

Fonte foto: Pixabay

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