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Salario minimo: è la volta buona?

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A livello comunitario è stato recentemente raggiunto un primo accordo sul salario minimo europeo. Al momento esso è soltanto una bozza da ratificare nella plenaria del parlamento europeo e non vincolante per gli stati membri, anche se già 21 su 27 presentano una legislazione dedicata.

L’Italia no, e se è vero che l’accordo non è vincolante esso rappresenta però un forte stimolo al nostro dibattito nazionale. Quindi? Ora salario minimo e caviale per tutti? Non proprio.

Personalmente ritengo l’introduzione di tale strumento retributivo una misura di equità sociale, auspicabile e anzi quasi necessaria, anche se certamente non scevra da possibili distorsioni, soprattutto se calata in una realtà caotica come quella italiana.

Proverò, nelle poche righe che seguono, ad analizzare alcune di queste possibili distorsioni, articolando la riflessione nei seguenti punti:

1) Incremento dei costi azienda e ripercussioni sui prezzi al dettaglio

2) Perdita di valore dei salari di poco superiori al minimo di legge

3) Meccanismi di aggiornamento salariale

4) Rapporto con il reddito di cittadinanza e le altre misure assistenziali

1 – É estremamente semplice vedere la correlazione tra l’aumento del netto in busta paga del dipendente e l’incremento del costo sostenuto dall’impresa per la quale tale dipendente lavora, anche se non è questo il luogo dove intraprendere una discussione ideologica su quale dei due interessi sia prevalente (anche se è giusto dire che personalmente propendo verso il lavoratore). Rimanendo invece su ragionamenti logici e non idealistici, è semplice quasi come l’assunto di prima capire che in una logica di mercato un incremento dei costi provoca, anche nel brevissimo periodo, un tentativo da parte delle imprese di ribaltare sul mercato tale extra costo per ricostruire il margine. Quindi i prezzi aumentano e il potere di acquisto derivante dall’incremento del salario ce lo siamo fumato.

2 – Un incremento dei salari più bassi potrebbe spingere ad una corsa alle richieste di aumento da parte di chi è di poco sopra la soglia, richiesta assolutamente legittima e volta a mantenere quei diritti acquisiti derivanti dallo svolgere mansioni di livello superiore, remunerate in maniera proporzionalmente maggiore. Ad oggi, ad ogni rinnovo dei CCNL, vengono riviste le tabelle retributive per tutti i livelli, il salario minimo aumenta gli “entry level” e poco altro. Quindi otteniamo un aumento delle richieste di revisione “ad personam” per gli impiegati di livello medio alto ed un effetto moltiplicatore del punto 1.

3 – La bozza di accordo a livello europeo lascia spazio di azione alle singole legislazioni nazionali. In Italia siamo i re dello lasciar scadere i contratti collettivi ed iniziare dopo interminabili contrattazioni per la revisione dei minimi contributivi. Se proseguiremo con questa consuetudine, il salario minimo di domani, dopodomani sarà già obsoleto.

4 – Quante volte si è sentito negli ultimi mesi “non troviamo personale, i giovani preferiscono il reddito di cittadinanza rispetto al lavoro”? A mio modo di vedere, troppe e senza nemmeno ragionare sul fatto che tale correlazione spesso non rispecchia la realtà giovanile, ma piuttosto la carenza di offerta di lavoro. In special modo nelle mansioni stagionali, questa carenza è figlia di un approccio YOLO (“you only live once”) sempre più radicato nelle generazioni che si approcciano ora al mondo del lavoro e che mal accettano giornate interamente dedicate alla produttività indipendentemente dalla componente retributiva.

Altro dato che nega l’assunto reddito di cittadinanza = mancanza di voglia di lavorare è che buona parte degli assegni erogati è integrativo rispetto a un salario che non permette al lavoratore di poter vivere al di sopra della soglia di povertà. Quindi si, al netto della componente YOLO il salario minimo potrebbe far uscire una parte dei percepenti del RDC dalla platea dei soggetti per il quale lo stato investe liquidità, dando allo stato stesso la possibilità di reinvestire quei soldi in altra maniera, magari proprio nel settore in cui le politiche per il lavoro sono più carenti: reintrodurre chi dal lavoro è uscito e non trova il modo di rientrare.

In conclusione la vera domanda: il salario minimo è quindi auspicabile?

Si, e subito anche. Negli ultimi anni lo stato si è concentrato su chi il lavoro non lo aveva e su chi con il lavoro aveva già dato e si meritava la pensione. Le politiche rivolte alla popolazione attiva sono ferme, i CCNL arretrati, il cuneo fiscale insostenibile, la produttività sotto le scarpe: cominciare a mettere mano a tutti questi enormi temi, dando un salario dignitoso a tutti, è necessario e urgente.

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