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I trentamila del pride

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Trentamila persone presenti al Toscana Pride, che hanno sfilato in corteo dopo lo stop della pandemia. È così che la città di Livorno e tutta la Toscana hanno voluto sottolineare, ancora una volta, l’importanza dei diritti. Una bella iniziativa in un pomeriggio tanto caldo quanto colorato e festoso. Per parlare di questo successo abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luca Dieci, presidente del Toscana Pride.

Trentamila persone, una folla colorata e vitale ha invaso la nostra città. Ve lo aspettavate tutto questo successo?

In realtà no. Ci aspettavamo giusto qualcosa di più di 15 mila persone.

E sarebbe stato comunque un buon risultato come primo Pride toscano dopo la pandemia, un evento che ha colpito duramente anche la voglia di manifestare di noi persone Lgbtqia+, che siamo corpi politici, che viviamo di vicinanza, di legami, di identità, di appartenenza e abbiamo bisogno di “Comunità” per non morire.

Ma onestamente non credevamo di arrivare a 30 mila, un numero pari solo al primo Toscana Pride a Firenze nel 2016. E questo dato ci deve far riflettere.

Non può essere stata solo la voglia d’incontro e di piazze a portar fuori le persone, è evidente che la Comunità Lgbtqia+ ha fame di diritti e tutele. E non solo la Comunità Lgbtqia +, perché tra quelle 30 mila persone c’era anche chi non fa strettamente parte della comunità, persone che sono scese in piazza con noi, che ci salutavano dalle finestre, che ci attendevano lungo il corteo.

Di questi tempi, e lo si vede ancor di più in questi giorni, nel mese del pride la bandiera arcobaleno è l’unica che riesce davvero a portare la gente in strada, più dei partiti, più dei sindacati.

Questa urgenza di diritti che ci sono negati da troppo tempo, questo bisogno di tutele, di essere equiparatə al resto della comunità ha innescato una rivoluzione culturale che non si può fermare, e più sarà ignorata e inascoltata, più porterà persone in piazza.

“Fuori e sempre controvento” è lo slogan e manifesto politico del Toscana Pride di quest’anno. Ci racconti i motivi di questa scelta e come si collega al vostro documento politico.

La parola “fuori” ci è sembrata un riferimento necessario e doveroso fin da subito.

“Fuori” per celebrare la tanto auspicata uscita dalla pandemia, ma anche per celebrare la possibilità di uscire di nuovo in piazza dopo 3 anni di attesa. Il riferimento, poi, è al F.U.O.R.I! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) il primo movimento Lgbtqia+ italiano, nato proprio 50 anni fa, il 5 Aprile 1972, quando un gruppo di straordinarie e coraggiose persone, tra le quali Angelo Pezzana e Mario Mieli, scesero in piazza per la prima volta. L’occasione, allora, fu il Congresso internazionale di Sessuologia di Sanremo, in cui si parlava di omosessualità come di una devianza patologica e si proponevano terapie per debellarla.

Da quella protesta ci fu una presa di posizione della Comunità Lgbtqia+: prendemmo uno spazio politico che era nostro, non permettendo più che fossero altre persone a parlare per noi e dando finalmente voce e dignità alla vita di migliaia di persone che fino ad allora erano state costrette a nascondersi.

Il “Vento” del claim, infine, è stato un elemento fortemente voluto da Arcigay Livorno, perché volevamo un elemento che ricordasse la nostra città: niente di meglio dell’evocativa forza del vento e delle sfide imprevedibili che porta con sé, che siano un insulto omolesbobitransfobico, come quelli che quotidianamente riceviamo o un applauso vergognoso in Parlamento, quando si affossa una legge di civiltà.

Insomma, anche quando tira vento contrario, come verə livornesə, usciamo in mare, con la nostra barca, e sfidiamo le intemperie.

La connessione con il nostro documento politico è altrettanto semplice: lì parliamo dell’approvazione di una legge di contrasto alle discriminazioni, di matrimonio egualitario, di revisione della 164 sui percorsi di affermazione di genere, dell’adozione della carriera alias in tutte le scuole, dell’estensione dell’adozione anche ai single, di una legge che vieti le terapie riparative e molto altro.

Si parla quindi di una società lontana da quella che viviamo oggi e ci costringe a scendere in piazza contro un sistema che non ci rappresenta. “Fuori e sempre controvento“, quindi, è stato un matrimonio di significati che difficilmente dimenticheremo… evoca tutto, la storia, l’attualità, il futuro.

I trentamila in festa sulla Terrazza Mascagni – foto di Giulia Guarnieri

Qual è stato il momento più bello e importante, per te, durante l’organizzazione di questo Toscana Pride? Ce n’è uno che ricordi con particolare emozione? 

Ce ne sono stati tanti, tantissimi, alcuni, ti confesso, anche brutti. A causa della pandemia, il mio incarico che doveva durare un anno ne è durati ben tre e non è stato facile.

Ci sono tante sensibilità nel Comitato Toscana Pride, l’ho spesso definito un fiore spinoso, poliedrico e prezioso. Quindici associazioni, su tutto il territorio toscano, geograficamente e umanamente distanti, singolari, uniche, ciascuna con la propria linea politica, che si mettono insieme per fare un unico grande pride inclusivo, che parli a tutte tutti e tuttə… non è facile, direi che è una sinergia di equilibri che ti sorprende quando la vedi compiersi.

Forse il ricordo più indelebile di tutta quest’esperienza rimarrà quando la parata è entrata in Terrazza Mascagni… la musica a tutto volume, Rita Rabuzzi, presidente di Agedo e mia vice in questa avventura (la mia mamma Agedo del cuore), ballava come una matta, Martina Cardamone, presidente di Arcigay Livorno, cantava e piangeva, tuttə eravamo travolti da un tale trasporto che anche Alessandra Nardini e Luca Salvetti, inizialmente stravolti, hanno cominciato a urlare e ballare dietro lo striscione… io ho visto il palco, il mare, il cielo, i volti di alcunə volontariə, ormai amicə, ormai famiglia: Daniele Cenci, Alex Mastromarino, Andrea Blasich, Giulia Barini, Natascia Maesi e il mio fratello acquisito, Cesare Bonifazi Martinozzi, che mi sussurra, lo leggo dal labiale: “ce l’abbiamo fatta”… ecco, in quel momento ho pianto, e ho ringraziato Dio per avermi regalato un momento di vita così.

Ricordiamo che il Toscana Pride doveva fare tappa a Livorno nel 2020 ma, purtroppo, la pandemia lo ha impedito. Questo biennio il dibattito politico sul tema dei diritti è stato caratterizzato dall’avvio e dal successivo affossamento del DDL Zan. Facendo riferimento a ciò che è successo in Senato nell’ottobre scorso, cosa è cambiato nell’organizzazione del Toscana Pride tra la manifestazione pensata per il 2020 e quella che avete effettivamente organizzato nel 2022?

Come ho già detto più volte, nel 2019 cominciammo a pensare ad un Pride di festa, dando per scontato che dopo 30 anni una legge che ci tutelasse dalle discriminazioni per identità di genere e orientamento sessuale sarebbe passata… tant’è che uno dei claim che ci venne in mente fu “Pazzə sulla terrazza” in onore di Raffaella Carrà (che ancora non era scomparsa) e per promuovere la rivoluzione linguistica dello schwa, la lettera inclusiva che tende ad aprire gli orizzonti verso un linguaggio non binario e quindi ampio.

Si capisce bene che uno stop tanto eclatante nel percorso di civiltà del nostro ordinamento giuridico, per giunta sottolineato da quell’applauso vergognoso, fatto con le mani sporche del sangue di tutti i casi di omolesbobitransfobia, abbia spostato il focus della manifestazione.

L’appuntamento è per il prossimo anno in una nuova città della Toscana. Sappiamo già quale sarà la prossima tappa? Cosa ti aspetti e cosa si aspettano le associazioni, le realtà promotrici del Toscana Pride, in questi 12 mesi da parte della politica Italiana? 

Beh la città non la so ancora, nessuno la sa, verrà scelta nei prossimi mesi e comunicata all’inizio del 2023. Cosa invece ci aspettiamo l’ho detto prima e lo ripeto: diritti e non privilegi.

Ci aspettiamo un cambio culturale che attendiamo da anni, una società che non si basi su modelli binari e un’idea di normalità che non esiste nella realtà e non ci rappresenta; ci aspettiamo una società che non classifica le persone solo in base al sesso e al genere, che non opprime le donne e le rende subalterne, una società che non esclude e considera non validi i corpi con disabilità, grassi e vecchi.

Sembra davvero che per i nostri eletti la vita delle persone, i diritti della persona siano terreno di scontro partitico, oggetto di giochi di palazzo, di equilibrismi parlamentari; sembra davvero che per alcuni politici l’unica missione sia dire “no” solo per poter esistere politicamente!

Ecco, ci aspettiamo che tutto questo finisca e se non sarà così, sapete dove trovarci: FUORI e sempre CONTROVENTO.

Domanda libera. C’è qualcosa che vuoi raccontare o aggiungere ai lettori di Fuoricomeva?

Vorrei raccontare qualcosa di importante che ho imparato in questo viaggio inaspettatamente lungo. Non sapevo a cosa sarei andato incontro quando mi hanno investito della carica, non ero realmente preparato alla responsabilità che mi veniva affidata, non avevo idea della cura, dell’attenzione, della sensibilità necessaria per essere “la voce” di una realtà complessa come il movimento Lgbtqia+. Ho accettato e mi sono buttato, con l’incoscienza dell’inesperienza.

In questi tre anni, la cosa più grande che ho imparato è l’importanza del linguaggio e delle parole.

Il linguaggio è politica, è il modo in cui traduciamo la realtà che viviamo, le parole sono il vestito che mettiamo alle emozioni, alle idee, alle intenzioni… e se le armiamo, le parole possono ferire.

Ci dicono spesso che ci chiudiamo in una sigla, in un acronimo sempre più lungo e incomprensibile… Lgbtqia+… e spesso queste critiche vengono dalla stessa Comunità, da parte di chi è alla ricerca di un termine che rappresenti tutte e tutti.

Un altro tema che ancora attira critiche da più parti è la ricerca di un linguaggio ampio. Quello che qualcuno sminuisce parlando di “moda” o di “politically correct”, riducendo un tema assai ampio e articolato all’uso dell’asterisco, della “U”, dello Schwa in fondo alla parola Tutt (perché in italiano non esiste un plurale senza genere).

Ecco, in questi anni in cui ho passato il tempo ad ascoltare chi la pensava in maniera diversa da me o chi ne sapeva più di me, in questi anni in cui mi sono messo in discussione, in cui ho cercato di imparare il più possibile, di capire, proprio per non tradire nessuno, ho incontrato chi si sente davvero invisibile, coloro che non hanno le parole per definirsi, o non le trovano rivendicate in nessuna battaglia politica; ho conosciuto persone asessuali che venivano mandate dal medico per guarire, come se fossero malate, mentre ciò di cui avevano bisogno era solo trovare un nome alla loro condizione; ho conosciuto persone trans* che ancora lottano con un nome che non sentono più loro; ho visto gli occhi di unə ragazzə illuminarsi la prima volta che in un discorso pubblico ho detto “Buon pomeriggio a tutte, tutti e tuttu”.

Faccio un esempio: in un mondo di persone con i capelli biondi, scuri o castani coloro che nascono con i capelli rossi vengono visti come diversi e a lungo sono stati bollati con lo stigma della superstizione… ma si tratta semplicemente di persone “fulve”. Una volta trovato il nome quelle persone ricevono immediatamente la dignità della propria condizione, ricevono il diritto di esistere, la possibilità di dire “io sono” e, credetemi, non c’è cosa più importante.

In conclusione, la cosa che voglio dire è: ascoltate le altre persone! Ascoltatele e capite come desiderano essere chiamate, non giudicatele ma accoglietele. Il loro “nome” non riguarda voi e pronunciarlo correttamente non cambia nulla per voi, ma trasforma immediatamente la loro realtà, le rende vive.

Gianni Rodari scriveva, e mi commuove ogni volta: “L’uomo il cui nome è pronunciato resta in vita”.

Foto di copertina di Marco Grassi

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