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Le tre giornate di Livorno

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Un episodio della storia livornese dimenticato, di una violenza che talvolta torna ad essere di una terribile attualità.

Era l’aprile del 1960. Nei giorni dal 19 al 21 a Livorno si verificarono gravi scontri fra la popolazione livornese ed i paracadutisti.

Io non ero ancora nato, ma questa vicenda mi ha sempre talmente incuriosito da portarmi a fare tantissime domande al mio babbo e ad amici coetanei del mio babbo, classe ’45.

Anche questa storia è stata messa da parte, chiusa in un cassetto, ma secondo me è una ferita sempre aperta nella nostra bellissima città, visto che anche dopo tantissimi anni la Folgore ha deciso di rimuovere il basco amaranto, “istituito” nella divisa mimetica dei parà, come forma di scuse.

Mi va di scrivere due righe per ricordare quei tre giorni di ferro e fuoco, attraverso alcune testimonianze che ho raccolto.

I fatti, confermati appunto dalle testimonianze, dicono che tutto è iniziato il 19 aprile in via Grande, in prossimità del bar Sole, dove alcuni militari paracadutisti fecero degli apprezzamenti spinti ad una ragazza che si trovava col proprio fidanzato.

Da lì nacque una colluttazione tra il fidanzato e i militari stessi per difendere la donna. Sembrava che fosse tutto finito, ma nel disperdersi alcuni militari si rivolsero con fare minaccioso alla folla che era accorsa in piazza Grande: “Ci vediamo domani, tornate se avete il coraggio!”.

Queste minacce purtroppo pesarono come macigni, visto che il ventennio fascista era finito da poco e i livornesi non si erano dimenticati i fatti accaduti a Pisa circa una settimana prima, quando dei gruppi di militari marciarono sulla città scatenando rivolte: c’erano tutti i presupposti per un “colpo di stato” militare in città.

Il 20 i livornesi videro una scena molto preoccupante: alcune camionette piene di soldati scesero in piazza Grande e, tutti inquadrati, iniziarono a cantare “Faccetta Nera”. Da quel momento, buio completo. I Livornesi, freschi ancora delle minacce del giorno prima, scesero prontamente in piazza e, con tutte le forze disponibili, combatterono il tentato golpe fascista.

Gli scontri furono molto violenti, rimasero feriti sia dei paracadutisti che qualche livornese. Rientrati in caserma, il Generale in comando ordinò di non uscire per i giorni successivi, ma purtroppo in città gli scontri continuarono tra i livornesi e le forze dell’ordine come Carabinieri e Polizia.

Il 21 gli scontri proseguirono in città tra le vie e le piazze. Sarebbe potuto scapparci il morto: all’altezza dell’allora “Forno Scarpellini” e la “ Polleria Barsotti”, sulle mura delle facciate, sono a lungo state visibili le raffiche dei mitra sparate dalle forze dell’ordine.

Gli scontri si concentrarono in piazza Cavallotti, dove la polizia riuscì a sfondare le barricate tirate su dai livornesi, trovando però una Livorno unita tra portuali, operai del cantiere e cittadini che respinsero “l’invasione”; vennero bruciate due jeep delle forze dell’ordine, e la “vittoria” fu conquistata dalle donne di piazza Cavallotti, che lanciarono dalle finestre delle proprie abitazioni qualsiasi oggetto passasse loro tra le mani.

Scesero in campo le istituzioni, tra le quali il sindaco del tempo Badaloni, il vice sindaco socialista Sirio Carlesi e il Vescovo Andrea Pancrazio; cercarono di stemperare i toni, ma i cittadini ribadirono la propria opposizione tanto ai paracadutisti quanto alle forze dell’ordine, indicandoli come ospiti sgraditi.

Inizialmente si contarono 7 feriti tra la polizia e circa 55 fermati tra i livornesi, ma il contò salì a 37 feriti, 78 arresti e 200 denunciati, tra questi il Sindaco, alcuni consiglieri comunali ed alcuni esponenti del Partito Comunista.

Tali fatti potrebbero essere accostabili alla situazione politica italiana del 1960, che in febbraio vide una grave crisi politica che portò alla formazione di un governo Tambroni farlocco, che, per arrivare appunto al governo, accettò i voti del movimento sociale. Tutto ciò non fece altro che gettare nuovamente il paese in una situazione di stallo, e in città come Livorno, rosse nell’animo, si sentì l’odore di un imminente colpo di stato militare e fascista.

La scazzottata al bar Sole fu solo la goccia che fece traboccare il vaso.

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