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La Gorgona vista dai detenuti: gli scatti in mostra ai Bottini dell’Olio

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Il Museo della Città di Livorno ospiterà dal 21 maggio al 3 luglio la mostra fotografica “Gorgona il carcere della libertà. Progetto di educazione civica ”. La mostra raccoglie progetti di diversa natura, tra questi, Limitrofia”: il progetto fotografico ideato e realizzato dal fotografo Francesco Sinni, mette in mostra gli scatti realizzati dai detenuti della Casa circondariale dell’isola di Gorgona.

LIMITROFIA

È una lente autentica che racconta la condizione carceraria dell’isola con gli occhi di chi la vive in prima persona. Un cambio di prospettiva di chi oltrepassa luoghi di norma interdetti e punta lo zoom oltre il limite.

Ecco alcuni estratti dell’intervista rivolta a Francesco Sinni.

Come nasce il progetto?

“È nato nel 2014, perché per me era importante raccontare una situazione carceraria particolare, quella dell’isola-carcere. In occasione della proiezione del film “Come il vento”, che tratta il tema della condizione carceraria, ho avuto modo di parlare personalmente con il direttore del carcere di Gorgona, Carlo Mazzerbo, ospite della serata. Devo dire che ha accolto favorevolmente la mia idea. Il progetto, seguito da volontario e autofinanziato, è partito solo pochi giorni dopo ed è durato circa tre anni”.

L’organizzazione carceraria dell’Isola prevede che i detenuti svolgano durante la settimana l’attività lavorativa all’aperto (apicoltura, agricoltura e viticoltura), mentre durante il fine settimana, nei giorni liberi, passano spesso il loro tempo in Chiesa, in palestra o svolgendo altre attività formative.

Per tre anni alcuni di loro hanno scelto volontariamente di partecipare assiduamente, e con forte interesse, al corso di fotografia analogica tenuto da Francesco.

Oltre al supporto dell’educatore Giuseppe Fedele, per la realizzazione del corso è stata fondamentale la collaborazione con FIAF Toscana. In forma del tutto anonima, l’associazione ha donato ai detenuti circa 20 apparecchiature fotografiche: “la realtà che ho trovato è andata ben oltre le mie aspettative”, commenta Francesco visibilmente emozionato.

Perché l’utilizzo della pellicola?

“È stata una sfida, ma mi ha permesso di entrare in contatto più velocemente con loro e creare un rapporto di fiducia. Lo studio dell’uso della pellicola ha permesso di arricchire la loro concentrazione, dare peso al tempo. Sono stato il loro regista, ho parlato con ognuno, capito le loro propensioni e i gusti (autoritratto, natura, foto alla motovedetta), suggerito libri e mostrato cataloghi di fotografi famosi per fargli trovare l’ispirazione.”

Perché hai scelto di far fotografare i detenuti?

“Qual è il modo migliore per raccontare la storia dei detenuti? C’è un contrasto bizzarro nella natura dell’Isola, tra natura selvaggia e pratiche tipiche del carcere, come le perquisizioni della polizia penitenziaria. Se le avessi scattate io, non sarei stato in grado di rappresentare la vera realtà. L’unico modo giusto poteva essere quello”

Da dove deriva il nome “Limitrofia”?

“Nell’isola c’è una linea invisibile che non può essere oltrepassata, né dai detenuti, né da chi arriva dalla terraferma. È la zona di sicurezza. Quando ho iniziato a fare il corso, gli alunni hanno avuto i permessi per oltrepassare questi limiti e andare nelle zone che non avevano mai visto. La zona vicino l’antico carcere dismesso, per intenderci”

“Recarsi fisicamente in luoghi vicini e di norma interdetti” questo è uno dei motivi elencati da Francesco per la scelta del nome. Una linea di demarcazione costante, che però non è solo fisica. E aggiunge:

“Limitrofia è anche il passaggio del testimone, da chi ha fatto esperienza nel mondo della fotografia a chi questo mondo non lo conosceva. Anche un atto di generosità, per me, è oltrepassare la linea”

Il concetto della “linea invisibile” ritorna spesso nel suo racconto. Non ci sono demarcazioni visive nell’area carceraria, se non quelle date dal confine geografico dell’Isola. Se da una parte rende più forte il senso di distacco del detenuto dal resto della società, dall’altra consente un tipo di organizzazione di vita connessa alle abitudini dell’Isola, proponendosi in tal senso come un modello alternativo alle fatiscenti strutture detentive presenti sul resto del territorio.

Quali soggetti hanno fotografato e cosa ti ha colpito di più?

Non mi aspettavo che durante un momento di libertà all’aperto, nel verde, qualcuno si ritraesse all’interno di una gabbia, come a rappresentare se stesso in cella. Fa riflettere sul fatto che l’unico modo in cui riescono a pensarsi è nelle vesti da detenuto. Consegnandogli una macchina fotografica, gli ho dato in mano una chiave di lettura per guardare il loro inconscio, per ascoltarsi”.

In altre foto si ripropongono spesso i limiti territoriali della costa, la natura, le finestre, le sbarre e la motovedetta, unico simbolo di contatto col mondo esterno.

La motovedetta per loro significa vita: perché la motovedetta, almeno quando non c’è libeccio, porta i familiari e le persone care sull’isola per i colloqui, porta cartoline e beni materiali necessari.

Una delle gratificazioni più grandi, conclude, è di aver saputo che uno degli alunni, finito di scontare la pena, ha seguito la propria strada avviando un percorso lavorativo nel mondo della fotografia.

Non solo un progetto fotografico

Limitrofia ha offerto la possibilità a chi osserva trascuratamente da anni gli stessi dettagli di evadere con lo sguardo ed esprimersi per mezzo della macchina fotografica. Lo spettatore della mostra si trova davanti a un modo inaudito di osservare la realtà carceraria dell’Isola.

L’intera mostra “Gorgona il carcere delle libertà. Progetto di educazione civica” è stata organizzata dalla Fondazione Laviosa e patrocinata dal Comune di Livorno.

Il progetto “Limitrofia” stato ideato e curato da Francesco Sinni, con la collaborazione di Alessio Catarsi dello Studio Pixel Pisa.

Fonte Foto:
Mostra “Limitrofia” di Francesco Sinni

Autore:
Foto scattata da un detenuto del carcere di Gorgona

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