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Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Stato ancora tu: ma non dovevamo vederci più?

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La storia del sistema capitalistico segue un andamento ciclico, con fasi interventiste e momenti in cui si è dato libertà totale al mercato. Per rispondere alla crisi pandemica i governi hanno deciso di irrobustire il ruolo dello stato nelle loro economie. Cogliamo l’occasione e non replichiamo gli errori del passato.

Come ogni fatto umano, anche la storia del nostro sistema economico tende a seguire un andamento ciclico. Già Kondratiev aveva teorizzato che il sistema capitalistico segue l’andamento di onde sinusoidali in cui, dopo periodi di crescita economica, si assiste ad un rallentamento e decrescita del sistema.

Lo stesso andamento può essere riscontrato nel ruolo dello stato nell’economia. Ripensando alla storia moderna, possiamo vedere come all’era liberale di fine Ottocento (il famoso “laissez faire”) sia susseguita, nel dopoguerra, un’era social-democratica (periodo Keynesiano), superata poi dal neoliberismo, diventato pensiero dominante con l’arrivo della globalizzazione.

Anche questa ultima linea di pensiero sembra avere le ore contate, perlomeno nel modo in cui l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

Le prime increspature di questa nuova ondata sono apparse con la crisi finanziaria del 2007-09. Durante questa crisi, molti si sono convinti che lasciare i mercati a sé stessi comporta problemi potenzialmente devastanti per la tenuta del sistema economico e sociale.

I salari reali stagnanti, la precarizzazione del lavoro, l’aumento delle disuguaglianze e il cambiamento climatico, sono solo alcuni dei problemi che il libero mercato non sembra in grado di poter affrontare.

La pandemia di Coronavirus sembra, inoltre, aver inferto il colpo finale al neoliberismo. Negli ultimi due anni è cresciuto il malcontento della popolazione nei confronti di tale modello, reo di non essere stato in grado di rispondere velocemente alla crisi sanitaria, anche a causa dei recenti tagli, figli di un’ideologia che prevedeva il progressivo ritiro dello Stato dall’economia.

La risposta alla pandemia sembra aver invertito questa tendenza. Il nemico del neoliberismo, lo Stato interventista, si sta riaffacciando con piani massici di investimento pubblico, spesa a deficit, programmi di vaccinazione di massa e piani di contrasto ai cambiamenti climatici.

In Europa, infatti, la risposta alla crisi pandemica è stata data prevedendo un maggior intervento dello Stato in diversi settori, nel tentativo di guidare le economie verso obiettivi prefissati dai governi.

Il bilancio a lungo termine dell’UE, unito a NextGenerationEU (NGEU), lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, costituirà il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato in Europa.

Per ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19 sono stati stanziati un totale di 2.018 miliardi di euro a prezzi correnti, con l’obiettivo di costruire un’Europa più ecologica, digitale e resiliente. Oltre la metà delle risorse serviranno per stimolare la ricerca e l’innovazione, la transizione climatica e digitale, oltre che la preparazione, la ripresa e la resilienza dei sistemi sanitari nazionali.

In aggiunta, va segnalato il dibattito sulla riforma del patto di stabilità e crescita sospeso fino a fine 2022. La proposta del commissario all’economia Paolo Gentiloni è quella di non contabilizzare nel deficit la spesa sostenuta per investimenti nella transizione ecologica e digitale, rafforzando così la capacità di spesa degli Stati e, conseguentemente, il loro ruolo nell’economia.

Per capire la filosofia economica alla base del nuovo interventismo statale è importante individuare quali sono i due principi che la guidano: una visione delle infrastrutture pubbliche come priorità essenziale dello sviluppo e la sostituzione del paradigma dello “sgocciolamento verso il basso”.

Secondo questo paradigma, i benefici a favore dei ceti più abbienti, come la riduzione dell’imposizione fiscale, hanno un effetto positivo, a cascata, anche sulle classi disagiate.

Il nuovo modello prevede invece una visione che si focalizza principalmente sul rafforzamento della domanda grazie ad interventi che vadano ad assistere le fasce più disagiate della società. Non è un caso, infatti, che il presidente USA Biden parli della necessità di sollevare i livelli salariali minimi (“raise the floor”) piuttosto che innalzare il “soffitto” delle aspirazioni imprenditoriali.

In questa nuova visione economica bisogna certamente ripensare lo scopo dei governi: invece di limitarsi a correggere i fallimenti del mercato quando emergono come previsto dall’economia neoliberista, il loro scopo principale dovrebbe essere quello di impegnarsi attivamente per plasmare e creare mercati capaci di produrre una crescita sostenibile e inclusiva assicurandosi, al contempo, che i partenariati con imprese private che coinvolgono fondi pubblici siano orientati all’interesse pubblico e al valore condiviso, non al mero profitto.

Fonte foto: Radiobullets

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