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Energia o democrazia? Questo il dilemma

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La recente vicenda russa-ucraina ci ha fatto aprire gli occhi su quanto siano importanti le scelte energetiche di un Paese e l’Italia si chiede: è giusto, anzi, è etico continuare a comprare gas da Putin?

Restano ancora oscuri i reali motivi dell’intervento russo anche se, viste le ultime dichiarazioni di Putin, sembra che l’obiettivo si stia ridimensionando al mantenimento dell’influenza su Donbass, Lugansk e Crimea.

Ma perché questi territori potrebbero essere così importanti per il leader russo? Le regioni orientali dell’Ucraina (tra cui il Donbass, dal nome del fiume Donec, ndr) sono ricche di miniere di vario genere, tra cui spiccano quelle di carbone: l’Ucraina è al quindicesimo posto al mondo nella classifica dei produttori di carbone (la Russia al sesto), con riserve pari a oltre 100 miliardi di tonnellate, e questo grazie proprio al Donbass, dove si troverebbero anche ferro, manganese (la più grande riserva europea), titanio e uranio, oltre che le ambite terre rare indispensabili nell’industria hi-tech e per lo sviluppo della green economy. Oltre al carbone e ai minerali, le regioni orientali sono ricche di gas e petrolio: quasi 135 milioni di tonnellate di petrolio in giacimenti e 1,1 trilioni di metri cubi di riserve di gas naturale.

Insomma, la guerra Russia-Ucraina si presenta sempre più come l’ennesimo conflitto per il controllo di risorse.

E l’Europa? Nonostante la volontà espressa nel Green Deal di affrancarsi dall’utilizzo di fonti rinnovabili, il fabbisogno europeo complessivo di gas è al momento coperto per il 46% dal gas russo, mentre una quota consistente (17%) arriva dai giacimenti del Mare del Nord, prevalentemente norvegesi. Altre forniture minori sono rappresentate dalla sponda sud o mediorientale, oltre che dall’arrivo di Gnl via mare, reso disponibile attraverso i cosiddetti rigassificatori.

Il mix energetico italiano non è molto differente, anche se per ovvie questioni geografiche è orientato a sud: il 38% circa arriva dalla Russia, il 28% dall’Algeria, il 10% dall’Azerbajan (grazie al tanto combattuto Tap). Quote più piccole provengono dal mare del Nord e dalla Libia.

Il Governo Draghi, per fronteggiare più un possibile taglio netto condiviso con i partner (una sorta di embargo europeo verso Putin) piuttosto che le proteste dei cittadini, per adesso sempre tiepide, se non inesistenti, si è mosso aumentando le forniture dai paesi del Maghreb e del Medioriente, tra cui Algeria ed Egitto.

Anche questi, come la Russia, Stati che non brillano certo nella classifica di democrazia e rispetto dei diritti umani: sia l’Algeria che l’Egitto vengono classificati, secondo il Democracy Index del 2021, come Regimi Autoritari. Sull’Egitto basterebbe citare il caso Regeni o l’ultimo, per motivi di cronaca, di Patrick Zaki. Ma questi due nomi sono solo la punta dell’iceberg. Amnesty International denuncia da anni le ripetute violazioni dei diritti umani sotto la presidenza Al-Sisi.

La domanda sorge spontanea: i crimini commessi contro cittadini ucraini sono intollerabili, mentre quelli commessi contro i cittadini egiziani non lo sono? Eppure, i diritti e le libertà dovrebbero essere inviolabili ovunque.

Si dirà: gli attuali produttori di fossili sono per lo più Paesi dove la democrazia non va di moda (Venezuela, Iran, Arabia Saudita, ecc), quindi a qualcuno bisogna pur bussare per scaldare le nostre case. Meglio se alleati. Certo, a meno di non farne a meno dei suddetti fossili. Se non totalmente, almeno il più possibile. Inoltre, nei prossimi mesi, sembra che il Governo cercherà di aumentare altre forniture africane, tra cui quelle di Nigeria e Congo, Paesi nei quali Eni è presente da tempo in qualità di attore importante. Anche qui, forse, bisognerebbe chiedere qualcosa in più, oltre che solo gas.

Concludendo, alcuni spunti di riflessione.

Possono servire queste alternative africane e mediorientali a fermare le ambizioni bellicose di Putin? Onestamente non credo, la Russia ha già altri clienti per il proprio gas, tra cui l’energivora Cina, con i suoi 1,2 miliardi di consumatori. Per la Russia non siamo certo gli unici vicini di casa bisognosi di gas.

Seconda questione: possono servire queste alternative per cambiare la nostra dipendenza dagli Stati poco democratici? , se appunto consideriamo quanto detto finora in fatto di rispetto di diritti umani dai nostri attuali e futuri fornitori.

Terzo e ultimo quesito: possono servire queste alternative per farci percepire l’esigenza di dare una decisiva svolta, nel medio periodo, sulle energie rinnovabili? Certamente sì. E qui entra in ballo l’interessantissimo report del WWF “Rinnovabili: Energie per la Pace”. Ma di questo parleremo la prossima volta.

Foto: Pixabay

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