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Si fa presto a dire oligarca

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La figura negativa dell’oligarca russo è saltata alla ribalta fin dalle prime ore del conflitto ucraino. Ma quali sono i nostri oligarchi? E quanto sono rischiosi per la democrazia?

E’ dall’inizio dell’attacco russo contro l’Ucraina che sui media italiani non si manca mai di sviscerare, in maniera più o meno seria, la società russa ed in particolare la gestione del potere.

Abbiamo capito piuttosto chiaramente che è Putin il detentore assoluto del potere e che è un tipo decisamente risoluto con ogni tipo di opposizione interna (l’omicidio della giornalista Anna Politkovskaya o il caffè al polonio offerto a Alexander Litvinenko erano già degli indizi piuttosto significativi in tempi passati ma al tempo non ci preoccupavano più di tanto)

Abbiamo anche capito che il suo potere trae forza essenzialmente da due distinte tipologie di personaggi che lo circondano in maniera più convinta o più commossa: una è quello dell’establishment amministrativo e politico e la sensazione è che esercitino il potere che Vladimir gli concede, per suo nome e suo conto.

L’altra tipologia che ha attirato la mia attenzione, è quello costituito dai cosiddetti oligarchi: personaggi potenti e al di sopra della popolazione che controllano i fondamentali nodi dell’economia russa attraverso imprese, multinazionali e fondi d’investimento e che intrattengono uno stretto rapporto con la politica influenzandone le scelte e gli orientamenti alla base e che sono legati da una logica di dipendenza reciproca.

Se chiudo gli occhi e penso a persone che si sono arricchite a tal punto da possedere nodi strategici di economia ed influenzare la politica, mi viene da pensare che la figura dell’oligarca trovi molte analogie con quelli che noi in occidente chiamiamo “uomini d’affari” o “imprenditori” o “magnati”.

Se è vero che si può obiettare che le aziende degli oligarchi nascono dalla privatizzazione dei maggiori asset economici russi in seguito allo scioglimento dell’Unione Sovietica degli anni ’90 a differenza dei grandi capitani d’industria occidentali che hanno costruito le loro fortune attorno ad innovazioni o intuizioni divenuti prodotti, non si può certo sostenere che il solco tra queste due figure sia scavato dalla differenza di morale.

Diversamente, le grandi aziende non avrebbero così tanti legami economici in paesi dove i nostri valori democratici sono inesistenti o quasi quali Cina, Turkmenistan, Uzbekistan, Arabia Saudita, Bahrein e molti altri dove manodopera e materie prime si trovano a buon mercato.

E’ il profitto che guida i grandi tycoon, russi o occidentali che siano: niente di più e niente di meno.

Realizzare che quello che riteniamo disdicevole e negativo nella società russa è saldamente presente anche nella nostra società non serve a minimizzare alcun che di tutte le atrocità che la Russia si compiendo in terra ucraina, ma è utile a capire come il sistema di sviluppo che stiamo seguendo sia un sistema denso di criticità che mettono in crisi il concetto stesso di società occidentale e dunque democratica che per primi riconosciamo a noi stessi.

Se è vero che la peggiore delle democrazie è migliore di qualsiasi dittatura, è anche vero che non basta essere migliori dei peggiori per ignorare le nostre debolezze, e forse è stato proprio il non puntare con decisione a risolverle il reale motivo attorno al quale è scomparsa la sinistra del ventunesimo secolo.

“Già in questo momento i 10 super ricchi detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, composto da 3,1 miliardi persone” affermava qualche mese fa la direttrice di Oxfam, Gabriela Bucher.

Quanto contano questi simpatici ed amabili 10 super ricchi rispetto ai 3,1 miliardi di persone che posseggono soltanto un sesto della loro ricchezza? Orientano la politica? E dunque, sono o non sono i nostri oligarchi?

E’ arcinoto che la debolezza storica nello sviluppo del sistema ferroviario italiano affonda le radici nella volontà politica di rafforzare la nostra industria automobilistica. L’avvocato Agnelli era solito dire “Ciò che è buono per la FIAT, è buono per l’Italia” e così la pensava anche la classe politica che è sempre stata piuttosto affezionata a questo oligarca nostrano.

Così come, tra il serio ed il faceto, vistosi accusato dall’ex presidente della Bolivia Evo Morales di aver fomentato insieme agli USA le proteste che hanno portato alla sua destituzione nel 2019, Elon Musk ha twittato “Facciamo colpi di stato dove vogliamo“.

Ci hanno tutti scherzato fino a che non ci siamo ricordati che lo stato sudamericano ha il sottosuolo farcito di litio tanto caro a Elon. Pare davvero inverosimile che l’uomo più ricco del mondo e che per primo ha oltrepassato i 300 miliardi di dollari di patrimonio personale, cerchi di orientare la politica del suo paese per determinare ricadute su altri paesi? Io credo di no.

La deriva ormai conclamata che l’occidente ha impresso al concetto di ricerca del profitto ed accentramento della ricchezza, e dunque inevitabilmente del potere, rischia di celare al suo interno un rischio ben più grave di quello di perpetrare le nostre disuguaglianze: rischia di essere il preludio alla fine stessa della democrazia occidentale come noi ce la descriviamo, raccontiamo ed apprezziamo.

Come diceva il mio nonno “beh vedi, in fondo il nemico è sempre il capitalismo“. Aveva ragione.

Foto presa da truenumbers.it

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