Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Parliamo di politica, più o meno seriamente.
Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Il mondo è collegato, se i collegamenti funzionano

Condividi

Facebook
Twitter
Telegram
WhatsApp

Da dove arriva la merce che compriamo? La Cina e la Russia scavano l’Artico per raggiungere l’Europa, i treni percorrono la via della Seta e una nave si incaglia a Suez mettendo il mondo in ginocchio. Racconti sulla logistica e sulle nostre vite

Capita con più frequenza di sentire durante trasmissioni generaliste, o di leggere su quotidiani non di settore, parole e frasi legate al mondo dei trasporti, della logistica, della supply chain.

Siamo tutti un po’ più consapevoli di quanto il modello di consumo, vendita e acquisto attuale sia fortemente globalizzato e legato a cose che accadono per “strada”. Sia che la strada abbia i contorni viari, oppure ferroviari oppure marittimi.

Quali sono i vincoli e le opportunità, cos’è che danneggia il trasporto e la logistica e quali effetti si hanno sui costi e sui prezzi finali che tutti noi vediamo? Vediamo tre aspetti.

1. Partiamo da alcuni eventi che stanno caratterizzando i mercati.

Quella che è in corso è una vera e propria “regionalizzazione” della globalizzazione ed il Mediterraneo è il mare al centro di questa competizione. Oggi sono quattro le aree geografiche che si sono strutturate come mercati transnazionali e tutte utilizzano il Mediterraneo. Queste aree sono il tentativo che stati e continenti stanno mettendo in campo per crearsi un proprio modello regionale di globalizzazione. Sembra un ossimoro, ma è così.

Abbiamo lo storico NAFTA (North America Free Trade Agreement) e l’UE (intesa in senso economico e monetario) che conosciamo direttamente.

A questi due si aggiunge con forza l’RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) siglato nel 2020 dopo otto anni di trattative tra 10 paesi dell’ambito pacifico e asiatico quali Cina, Giappone, Australia, solo per citarne alcuni. Infine il recente AfCFTA (African Continental Free Trade Area). Anche l’Africa si è dotata di un’unione doganale interna. Seppur ibrida.

Queste quattro alleanze hanno ricadute importantissime sulle politiche di scambio ma stanno anche producendo effetti sulla supply chain che sta accorciando le distanze, riorganizzandosi sempre più su base regionale e su trasporto a corto raggio.

Per capire ad esempio come sia importante per l’Italia fare i conti con la regionalizzazione della globalizzazione basta citare due semplici dati: la Cina è il nostro principale fornitore extra UE (Germania e Francia sono prima della Cina); gli USA sono invece il nostro principale cliente extra UE (anche qui Germania e Francia sono ai primi due posti).

E’ chiaro che mercati e Stati che si organizzano per rafforzarsi, rischiano di rappresentare una minaccia per i nostri tradizionali traffici se le politiche commerciali ed i rapporti di forza non vengono bilanciati. Diventa fondamentale il ruolo dell’Europa e l’attrezzare politiche comuni e strategie complementari. Gli altri si uniscono, noi spesso ci frammentiamo.

2. Queste unioni commerciali hanno anche importanti ricadute sulla catena logistica, secondo aspetto al centro delle premesse di questo articolo.

Quanto sia importante la logistica, lo hanno mostrato al mondo due vicende che hanno fatto il giro delle cronache: gli approvvigionamenti di mascherine protettive durante il primo lockdown e la crisi del canale di Suez con l’incidente che ha coinvolto la nave Ever Given.

In entrambi questi casi, seppur diversi tra loro, è risultato chiaro come un problema che arreca ritardi nella catena di approvvigionamento della merce, si trasforma in problema per i mercati, per le produzioni e per il consumatore finale: aumento dei costi di trasporto (i noli), aumenti dei prezzi finali per il consumatore (noi), sono solo i primi due aspetti.

Nel caso delle mascherine, la tempesta perfetta è stata generata in questa maniera: il mercato europeo fino a quel momento importava dal mercato asiatico la maggioranza di questo materiale.

La produzione di questa tipologia di merce era, ed è ancora, fortemente strutturata e radicata in Asia (per ragioni storiche e di mercato). La domanda europea era bassa e circoscritta ad alcuni settori lavorativi.

Ma con le necessità di contrasto al virus questo prodotto diventa fortemente richiesto, ben oltre i normali ordini abituali (aumenta la domanda), ma al tempo stesso il contestuale blocco a causa dei lockdown ai siti produttivi asiatici genera anche rallentamenti delle produzioni (si riduce l’offerta).

La catena logistica salta, le mascherine non arrivano, i prezzi salgono fino a 10 volte il prezzo normale.

Ecco quindi che anche in questo semplice caso si nota come mercato, produzione e logistica vivano strettamente collegati.

Invece, nel caso della nave Ever Given incagliata all’interno del canale di Suez, si è potuto verificare plasticamente come un ritardo nel trasporto abbia ricadute catastrofiche sulle economie e sul commercio, nonché sulle produzioni industriali.

Il blocco di Suez è costato secondo stime Lloyd’s e Bloomberg 9,6 miliardi di dollari al giorno. Per l’Italia passa attraverso il canale il 40% dell’import-export marittimo. E’ la “scorciatoia” per portare merci dall’Asia all’Europa e viceversa evitando di circumnavigare l’Africa.

Il blocco del canale ha acceso l’attenzione sulla totale dipendenza che molti settori produttivi hanno nei confronti degli approvvigionamenti a lungo raggio e che quando questi si bloccano, si bloccano interi paesi.

Anche per questi motivi il tema delle infrastrutture diventa centrale per le politiche nazionali di uno stato. Perché le “connessioni” sono elemento della competitività oggi più feroce che mai.

Basta citare ad esempio il massiccio lavoro di Cina e Russia, in partnership, per completare la Via Artica

Si tratta di una nuova rotta commerciale che bypassa Suez per raggiungere l’Europa sfruttando lo scioglimento dei ghiacciai che la rende praticabile. Oggi da Shangai a Rotterdam, attraverso la rotta tradizionale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la via polare 33 soltanto.

Ad oggi è una rotta “stagionale”, legata cioè a condizioni climatiche che si verificano in una parte dell’anno, ma ci trasmette comunque il senso dell’obbiettivo.

Analogo discorso si può fare nell’ambito della Via della Seta, oggetto di studi ed investimenti anche da parte degli ultimi governi italiani. Si tratta di un collegamento sempre più diretto tra la Cina e l’Europa, di natura principalmente ferroviaria.

Un dato su tutti: nel 2021 il traffico ferroviario tra Cina ed Europa è aumentato del 22% (dati ufficiali Ferrovie dello Stato Cinese)

Viene da sé capire quanto sia fondamentale realizzare opere infrastrutturali. Purtroppo, ma questa è solo una parentesi di un ragionamento più complesso, l’Italia non brilla per politiche infrastrutturali: i tempi medi per realizzare un’opera che costi più di 100 milioni di euro (ferrovie, ponti, porti etc.) superano i 14 anni.

3. Ultima riflessione è quella sul tema della produzione e del manifatturiero. La logistica ed il trasporto sono a servizio della merce, la merce deve essere lavorata, prodotta, immessa sui mercati.

Il Covid-19 ha accelerato alcune dinamiche e ha prodotto nuovi assestamenti. Per dirla con una battuta, è tornato di moda pensare di produrre in casa propria. E questa è una grandissima opportunità per rivedere parole d’ordine come “delocalizzazione” degli impianti produttivi o di parti di esso.

Ci siamo scoperti “dipendenti” da zone geografiche molto lontane e all’aumentare della distanza, in caso di inefficienze della distribuzione, un paese resta al buio.

Siamo stati abituati da anni ad un sistema per il quale il manifatturiero ha operato a seguito di ordine di acquisto, limitando al minimo i depositi di magazzino. Questo significa essere impeccabili lungo la filiera di trasporto, da produzione a mercato di vendita.

Ma all’aumentare dei rischi di trasporto e soprattutto all’aumentare dei costi di quest’ultimo (noli), non diventa più conveniente operare “Just in time”.

Di fatto si impone una riflessione su quanto è stato esternalizzato, su quanto lavoro locale è stato perso e su quanto effettivamente la competizione sempre e solo sul costo del lavoro non abbia invece fatto trascurare i costi ed i rischi del trasporto.

Che sia finalmente tornato il tempo di riportare a casa lavoro e produzione?

Fonte foto: © Cybrain – Adobe Stock

Ultimi articoli