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Lavorare al 118 durante quella terribile alluvione

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Il racconto, dopo anni, di una notte nella centrale operativa del 118. Al lavoro per la propria città, durante la terribile alluvione del 2017 a Livorno

A distanza di 5 anni riesco solo in questa maniera a esprimere tutto il mio dolore ma anche tutta la mia soddisfazione per essere stato, nella notte fra il 9 e il 10 settembre, presente in sala comando della centrale 118 Livorno/Pisa.

In tutti questi anni non sono mai riuscito a scrivere due righe sull’alluvione ma neanche ad intraprendere un racconto senza che la mia voce si interrompesse dall’emozione; solo oggi riesco a raccontare quella tragica notte non dovendola però scrivere in prima persona ma aiutato dalla mia compagna Arianna in forma di intervista.

Mi ha sempre chiesto come fossero andate le cose quella notte perchè anche lei è volontaria sulle ambulanze da tanti anni.

Le domande più frequenti che le persone mi hanno fatto sono: quando ti sei accorto che la situazione era diventata una vera emergenza? Come sei riuscito a mantenere la calma gestendo con i tuoi colleghi l’emergenza ed essendo livornese? Quale criterio avete usato per filtrare le chiamate di emergenza? Quando sei smontato hai avuto subito modo di capire quanto fosse successo?

Ad inizio turno, affacciandomi alla finestra, non avevo mai visto in tutti questi anni un cielo così minaccioso.

Intorno alle 22.30 sono iniziati i primi scrosci importanti durante i quali sia io che i miei colleghi, come si usa dire, “eravamo sotto una bomba d’acqua”.

La prima chiamata che ho gestito era nel territorio del litorale pisano; in uno degli stabilimenti balneari era crollato il pezzo verandato adibito a ristorante. Dopo aver inviato i soccorsi mi sono rimesso, senza troppe preoccupazioni, ad affrontare la nottata.

Da qui alle 01:00 circa tutto è stato gestito nella normalità, nonostante continuasse comunque a piovere forte; dopo le una circa, all’improvviso, siamo stati presi d’assalto dalle chiamate nelle quali i cittadini ci chiedevano aiuto perché erano alluvionati.

Personalmente non ho mai fatto una guerra ma le chiamate che ci segnalavano l’isolamento di Montenero, il crollo parziale del ponte dello “Stillo” e l’impraticabilità delle vie del lungomare, mi hanno fatto capire di essere sott’attacco da parte della natura.

Avendole sempre vissute da soccorritore in altre città, come per l’alluvione di Aulla, per cercare di gestire l’emozione ed aiutare i miei concittadini, sono dovuto diventare “distaccato” dalla mia livornesità perché altrimenti sarebbe stato impossibile mantenere la calma in una situazione simile.

Il criterio che abbiamo usato per gestire l’emergenza è stato quello della maxi emergenza, contattando in primis i dirigenti della centrale operativa 118, dove, insieme al medico di guardia quella notte, hanno messo in moto la macchina dei soccorsi come prevede il protocollo.

Successivamente io, come i miei colleghi, ci siamo messi a disposizione per qualsiasi richiesta venisse fatta dai dirigenti; inoltre ero in contatto diretto con i dirigenti delle due principali associazioni di volontariato livornesi.

Mi sono preso la responsabilità di contattare le caserme cittadine; la caserma dei paracadutisti Vannucci, la Pisacane e l’Accademia di Livorno dalle quali ho avuto piena disponibilità per le forze che avevano perché da quando è stata abolita la leva obbligatoria, il personale è ridotto.

Un esempio della gestione dell’emergenza è stato il numero delle chiamate provenienti da determinate zone della città; valutando questo criterio riuscivamo a capire l’esigenza di uomini e mezzi necessari da inviare.

Quella notte il sistema elettrico e telefonico della città ha retto bene. Ci sono state zone che solo per un breve periodo non hanno avuto copertura telefonica ma siamo comunque riusciti a richiamare i cittadini e i soccorritori per i vari aggiornamenti dal territorio.

Nonostante la nottata vissuta, quando sono uscito dalla centrale 118, non ho avuto modo di poter toccare subito con mano quanto fosse successo poiché non tutte le zone della città erano state colpite nella stessa maniera.

Ricordo la telefonata fatta al mio babbo per raccontargli quanto successo e ricordo la sua risposta; abitava in zona Corea e lì, come poi ho saputo anche in altre zone, sembrava veramente fosse passata una semplice notte di pioggia.

Solo il giorno dopo ho potuto vedere con i miei occhi, facendo un giro in macchina, quanto fosse successo. Ricordo il passaggio all’altezza dei 3 Ponti: la devastazione della natura e lì sono scoppiato a piangere perché ho visto la mia città ferita.

Come soccorritori ci prepariamo a gestire le maxi emergenze, ma dentro di noi speriamo sempre che non accadano, perché in queste situazioni c’è sempre un prezzo da pagare.

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