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Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Te la puoi pagare?

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La pandemia ha portato ad un ampliamento delle possibilità di approfondimento e ricerca post universitaria, soprattutto con l’utilizzo della formazione a distanza che, complice il minor prezzo, è stata la più apprezzata. La Regione Toscana ha sempre supportato queste attività, ma forse non nel modo migliore.

Come tutti i grandi eventi, quelli che cambiano la vita, il modo di pensare, di essere e di fare, anche la pandemia rappresenterà – ed in parte già rappresenta – uno spartiacque, un riferimento.

Ed è normale, ha cambiato radicalmente le persone, le circostanze, gli eventi, gli spettacoli, i convegni, la scuola, l’università, la ricerca.

Ha cambiato un po’ tutto e lo abbiamo provato, con varie sfumature, sulle nostre pelli: ha cambiato i giovanissimi, che hanno perso l’adolescenza fresca e spensierata, fatta di serate, di concerti, di discoteche e di aria aperta; ha cambiato il mondo congressuale, che da sfarzoso e in presenza ha ceduto il passo alle piattaforme simil-zoom; ha cambiato la scuola, che non era pronta, nella maggior parte dei suoi livelli, ad una trasformazione totale.

Un cambiamento che, a dire il vero, ha visto un’evoluzione macchinosa, inaspettata, prima disapprovata, poi apprezzata e nuovamente criticata, che ha portato, soprattutto nel settore della formazione universitaria e post-laurea, ad un ampliamento notevole delle possibilità di approfondimento e di ricerca.

Non sono pochi gli esempi che balzano alla mente, prima tra tutte la possibilità – in verità già presente ma poco sviluppata – di una formazione a distanza che desse la possibilità di sfruttare opportunità lontane, in università distanti senza dover sopportare gli oneri di un trasferimento o di un pendolarismo forzato e non sempre possibile.

Ed è ovvio che, nel momento in cui la pandemia apre opportunità di risparmio, le famiglie sono ben propense a sfruttarle, soprattutto visto che molti corsi prevedono una differente tariffazione a seconda della frequenza “in presenza” o meno del corso (si consideri che in media la differenza di costo tra un corso di formazione post-universitaria in presenza ed uno in modalità E-learning è di 983,33 € per i Master che hanno un costo tra duemila e tremila euro).

Ma proprio qui arriva il bello.

Da anni la Regione Toscana ha istituito tramite il progetto GiovaniSì la possibilità, per i giovani under34 toscani, di richiedere un voucher massimo di 4.000 € (varia in base ad alcuni parametri tra i quali l’amico/nemico di ogni studente universitario: l’ISEE ORDINARIO) al fine di – come si legge dalla pagina di presentazione del progetto – finanziare le spese di iscrizione a Master di I e II livello da svolgersi in Italia che abbiano almeno 60 cfu, che siano già iniziati e prevedano la conclusione entro il 31 dicembre.

Non è necessario andare oltre la lettura del bando per capire che già in partenza qualcosa non va.

Senz’altro lodevole l’opportunità data a molti studenti di avere un supporto economico per formarsi ed approfondire i propri studi, meno lodevole – alla luce della tanto richiamata, ma poi nei fatti poco attuata, eguaglianza sostanziale – la necessità di aver già iniziato la frequenza del master, soprattutto perché, banalmente, se il corso è già iniziato gli studenti (e le loro famiglie) hanno già sostenuto gran parte dei costi che il bando si propone di finanziare.

Sarebbe forse più opportuno dire che questa misura ha l’obiettivo di “rimborsare le spese sostenute”?

In realtà è cosi ma come nelle migliori pubblicità, nei migliori bugiardini farmaceutici o contrattini precompilati, in piccolo, in corsivo, tra le finalità si legge che il bando è finalizzato a promuovere, tramite il rimborso anche parziale delle spese di iscrizione, l’accesso a percorsi di accrescimento delle competenze professionali con l’obiettivo di facilitare l’inserimento o il reinserimento, nonché il miglioramento della propria posizione nel mercato del lavoro”.

Tale misura arriva, nell’estremo, ad essere paradossale.

Ha come obiettivo quello di favorire la formazione post universitaria finalizzandola al miglioramento della propria posizione nel mercato del lavoro, seppur limitandola al territorio nazionale e ad alcuni requisiti di reddito, ma non si prefigge quell’unico scopo che invece avrebbe dovuto perseguire: dare la possibilità a chi, privo – o non sufficientemente dotato – di mezzi economici tali da potersi permettere un’alta formazione, vorrebbe acquisire quelle nuove conoscenze tali per cui la formazione post universitaria è l’unica possibile.

Che tradotto in linguaggio meno aulico, ma più aderente alla situazione sarebbe: se te la puoi pagare poi (forse) te li ridiamo, se non la puoi pagare fai senza.

Non sarebbe meglio far sapere prima alle famiglie se possono contare su questo contributo economico? Semplificherebbe di molto le cose e permetterebbe veramente a tutti di potervi accedere.

A ciò si aggiunga che questa misura prevedeva, per l’anno accademico 2020/2021, 450mila euro di risorse disponibili che si sono trasformate, in uno scivoloso declino, in 90mila euro per l’anno accademico in corso.

Alla faccia dell’investimento nei giovani.

Foto Claudio Furlan – LaPresse

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