Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Parliamo di politica, più o meno seriamente.
Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Una volta eravamo eroi. E ora?

Condividi

Facebook
Twitter
Telegram
WhatsApp

Perché i professionisti della salute emigrano da una Regione all’altra? I concorsi non si fanno, i nullaosta si negano. Cosa dobbiamo fare per poter tornare a casa?

Può sembrare banale, ma nonostante gli sforzi e le accelerate dovute all’emergenza sanitaria, ad oggi non si è ancora trovata una soluzione ai tanti problemi che, quotidianamente, avvolgono il personale ospedaliero, di ogni tipo.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un continuo ricambio di personale, tale per cui si è arrivati alla sostituzione, anche nei piccoli presidi (quelli periferici), di quasi dieci professionisti all’anno. Potrebbe sembrare insito nella professione di “sanitario” il trasferirsi da una città all’altra, ma così non è.

Questo fenomeno può essere analizzato da un duplice punto di vista.

Da una parte può essere visto positivamente per l’azienda in quanto ognuno porta con sé, nel nuovo posto di lavoro, un bagaglio personale (umano e professionale) da poter condividere con gli altri che non può che portare arricchimento per la struttura nel suo complesso.

Dall’altra parte – ed è questo il dato preoccupante – comporta una minor continuità per il lavoratore e un conseguente ripetuto riassetto logistico da parte dell’azienda che ha formato (spendendo denaro ed energie) il proprio dipendente.

Ma perché assistiamo al fenomeno di emigrazione tra Regioni?

Non c’è niente di complesso dietro questa domanda, la risposta è semplicemente la mancanza di concorsi – in alcune regioni – per il personale sanitario. L’assenza di bandi di selezione di personale costringe i professionisti della salute a girare l’Italia alla ricerca del famigerato e sognato “posto fisso in ospedale” per sperare poi, una volta risultati vincitori, in un cambio alla pari o nell’accettazione da parte dell’Azienda della c.d. “mobilità volontaria”.

Quest’ultima è una misura regolata dall’art 30 del D. Lgs 165/2001 (e richiamata poi nel contratto collettivo nazionale – comparto sanità), riportante come titolo «Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse» che, al comma 1, prevede che le varie amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico con la cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica e in servizio presso altre amministrazioni, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza.

Le aziende però hanno cercato di tutelarsi dalla fuga dei propri dipendenti (già formati) inserendo sempre più spesso nei bandi concorsuali “l’obbligo di permanenza del dipendente presso l’azienda di assunzione per un periodo non inferiore a cinque anni” e la conseguente possibilità di negare l’assenso richiesto dalla normativa per il trasferimento: così facendo il giovane vincitore di concorso, prima di poter richiedere che il suo contratto sia ceduto all’azienda vicino casa, deve aspettare cinque anni.

Dall’altra parte la tempistica concorsuale non è di aiuto: in media un concorso (dalla pubblicazione del bando, all’espletamento delle prove, all’approvazione delle graduatorie) pone i “concorsandi” in almeno 18 mesi di lunga ed estenuante attesa che li porta, spesso, a rinunciare alla vittoria per nuove ed alternative strade apertesi nel frattempo, ma che – sempre più spesso – porta le nuove leve della sanità a non potervi partecipare.

Cade a pennello l’ultimo bando di concorso pubblico unificato per la copertura di n. 1 posto a tempo indeterminato nel profilo di Ostetrica, pubblicato sul BURT ed in Gazzetta Ufficiale nel maggio 2021 ed avente scadenza per la presentazione delle domande nel giugno dello stesso anno, al quale sono stati ammessi 1.186 professionisti che, ad oggi dopo 10 mesi, non hanno ancora avuto notizie in merito all’espletamento delle prove.

Quanti di loro saranno ancora disponibili, dopo più di un anno dalla presentazione della domanda, all’assunzione?

Quanti di loro saranno già risultati vincitori di concorso in altre regioni?

Quanti di loro dovranno aspettare cinque anni prima di poter lavorare vicino casa?

A questo si aggiunge che le recenti modifiche del D.L. 80/2021 hanno rafforzato ancora una volta una disparità tra i dipendenti pubblici prevedendo che solo il personale degli enti del servizio sanitario nazionale debba ricevere l’assenso, quasi sempre negato dalle aziende di appartenenza anche per futili motivi, contro gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni che hanno visto il venir meno di tale necessità.

Tutto questo è corretto per i professionisti? Quali sono le soluzioni possibili?

Per la tempistica concorsuale, nei casi in cui l’espletamento del concorso si verifichi dopo tempi estremamente lunghi, è necessario che siano riaperti i termini di presentazione delle domande per far si che si ampli il bacino di professionisti che possono partecipare (anche alla luce dei nuovi professionisti che ogni anno vengono proclamati dalle nostre Università) e che sia data la possibilità a chi, nel frattempo ha trovato altra occupazione, di chiedere il ritiro della domanda.

Inoltre è auspicabile che il Governo riveda le proprie decisioni in materia eliminando la disparità di trattamento tra professionisti della salute e non, permettendo ai primi di poter accedere alla mobilità volontaria anche senza l’assenso dell’azienda di appartenenza.

In quest’ottica, anche alla luce della recente mozione della Regione Toscana in merito alle azioni volte al reperimento di personale degli ospedali “periferici” si riuscirebbe a realizzare quell’attrattività nei confronti dei professionisti della salute che così facendo avrebbero la possibilità di lavorare vicino casa e di non spostarsi continuamente.

Ultimi articoli