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Le due facce del putinismo italiano

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Il putinismo italiano viene da lontano, ha radici profonde ed è bipartisan. Presto o tardi dovremo farci i conti

Gli scambi, gli accordi e gli investimenti commerciali fra la Federazione russa e l’Italia sono molto fitti quanto antichi.

Restringendo il campo al solo Novecento, basti pensare che anche durante il ventennio fascista l’Italia mantiene buone relazioni con l’Unione sovietica. È una precisa strategia di Mussolini che, per questioni di politica interna, dopo il delitto Matteotti spacca il fronte dell’opposizione rossa affrettandosi a riconoscere formalmente l’Urss e isolando così i comunisti.

Nonostante la partecipazione del nostro Paese all’«Operazione Barbarossa», con cui i nazisti provarono invano nel 1941 a invadere l’Unione sovietica, negli anni a seguire i rapporti si manterranno sempre buoni, specie sul piano economico, con l’Italia che esportava macchinari per i piani quinquennali staliniani e importa carbone.

Con la Guerra fredda, e con la presenza in Italia del più grande partito comunista d’Europa, le relazioni sono diventate sempre più profonde e articolate.

Al punto che nel 1964 la città di Stavropol’-na-Volge assunse la denominazione di Togliatti, in onore di Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano. Nello stesso anno il Governo sovietico deliberò la realizzazione di un impianto per la produzione di automobili proprio in quella città, affidando due anni più tardi la costruzione degli stabilimenti alla Fiat: un investimento ritenuto vantaggioso sia dai sovietici che dalla casa automobilistica torinese.

Tuttavia se l’accordo con i ministeri del Commercio estero e dell’Industria sovietici fu messo nero su bianco, lo si dovette all’intervento diretto del Governo italiano, all’epoca guidato da Aldo Moro, il quale autorizzò uno stanziamento straordinario nel bilancio dello Stato pari a 36,5 miliardi di lire.

Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione sovietica i rapporti italo-russi sono proseguiti sulla base di un partenariato strategico basato su interdipendenza e interessi comuni: gas russo in cambio di investimenti italiani nella Federazione russa. Da allora Eni opera sempre più stabilmente in Russia per lo sfruttamento di idrocarburi nel Mare di Barents e, in joint venture con Gazprom, partecipa con il 50% al gasdotto sottomarino Blue Stream.

Molto attive sono anche le nostre aziende che sfruttano la presenza in Russia delle Zes (Zone economiche speciali), beneficiando di una serie di esenzioni e agevolazioni fiscali.

Su questo forte legame economico si sarebbero innestati i tentativi degli ultimi anni del Cremlino di fare leva, attraverso finanziamenti, sui partiti italiani sovranisti – la Lega di Matteo Salvini e il M5S – per indebolire l’Unione europea dall’interno e tagliare il cordone stretto dall’Occidente attorno a Mosca dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2014.

È sbagliato però pensare che l’influenza russaanzi putiniana- si sia limitata a queste forze.

L’influenza di Putin sulla politica del nostro Paese, ha radici ben più profonde e meno appariscenti dei vari Salvini e Savoini, Di Stefano, Di Battista e Petrocelli (tutte persone che hanno dimostrato un servilismo politico e una piaggeria nei confronti di Mosca che non è minimamente paragonabile a quel legame, pur forte, che il comunismo italiano aveva con l’Unione Sovietica, N.d.R).

Quello che sta accadendo in Ucraina in questi giorni, è un progetto che inizia con la guerra in Georgia scatenata dal Presidente russo nel 2008. Una guerra in cui Putin, peraltro, utilizzò la stessa strategia che sta usando adesso in Ucraina: creazione di due repubbliche separatiste e successivo intervento per “proteggere la minoranza russofona”.

Nell’ormai lontano 2008, i servi sciocchi del putinismo italiano, erano al di là dall’essere addirittura pensati, e in quei giorni di guerra sedeva alla Farnesina il Ministro Franco Frattini, recentemente finito nella lista dei “quirinabili” da parte del centrodestra.

Tornando al 2008, mentre tutto l’Occidente si compattava a fianco della Georgia, la posizione italiana sul conflitto, per bocca del titolare della Farnesina, era: “Non possiamo creare una coalizione anti-russa in Europa, siamo vicini alle posizioni del primo ministro Putin”. Con questa piccola frase, l’Italia si sfilò dall’Occidente creando un vero e proprio “buco” in cui Putin si è infilato nel corso degli anni per dare vita al suo grande sogno: un impero panslavo, nazionalista e autocratico.

Questo impero si basa su tre pilastri: il russo e la russificazione, la religione ortodossa e un grande leader, cioè Putin.

Da quel 2008, passo dopo passo, Putin ha influenzato sempre di più la politica e l’opinione pubblica italiana: lo si può ben vedere dal numero di persone che credono alla propaganda di Lavrov sulla guerra in ucraina o dal numero di giornalisti, politici che non si schierano (facendo, de facto, il gioco di Putin).

Tuttavia, come detto e dimostrato poco sopra, il putinismo italiano non è stato affatto un fenomeno da sbandati o estremisti a margine della politica che conta. Negli ultimi (e volutamente mi limito con la tempistica) vent’anni la politica italiana si è sorretta su due grandi attori, che erano a loro modo allo stesso tempo divisivi e unificanti: Berlusconi e Prodi.

Sulla fascinazione del primo per il Presidente russo, la storia è nota e ricca di particolari anche divertenti (la più famosa di tutte è il famoso lettone). Tuttavia sia Prodi e Berlusconi hanno condiviso nelle relazioni con Putin il principio della sua ineluttabilità come fattore di stabilità geopolitico, abbandonando totalmente la causa della democratizzazione russa perché ritenuta pericolosa per la libertà e sicurezza e dell’Europa stessa (nella visione dei due ex Presidenti del Consiglio, una Russia democratica sarebbe stata instabile).

Da questa visione nascono i colloqui ripetuti, le interviste comprensive, lo sforzo di dialogo ad ogni costo: anche davanti all’annessione della Crimea del 2014, i due sostenevano che “la Russia va capita”, “l’UE deve fare uno sforzo di comprensione” ecc, ecc.

Quello che divide i due dunque, non è il giudizio su Putin, ma come “governarlo”: Berlusconi –volando parecchio con la fantasia- spingeva per integrare la Russia nella NATO, mentre Prodi voleva un’amicizia forte e duratura con Mosca –e con Washington- creando fra le due nazioni un’Europa amica di tutti e nemica di nessuno, permanentemente neutrale (una “grande Svizzera”, come l’ha definita il segretario del Pd Letta) e quindi afona sul piano geopolitico.

A valle di questo “putinismo col colletto bianco”, negli anni è nato il putinismo più truce ma allo stesso tempo sgangherato, quello che aveva (e sotto certi aspetti tuttora ha) il volto di M5S, Lega e FdI. A questo folto e colorito gruppo, a causa della guerra in Ucraina, se n’è aggiunto un altro, che in tempi normali definiremmo “di sinistra radicale”, composto principalmente da professori universitari che vivono nei salotti televisivi e vecchi arnesi della sinistra sessantottina (i quali, avendo poca fantasia come tutti gli estremisti ideologizzati, riciclano, con qualche piccola modifica, i vecchi slogan antiamericani e anti Nato.)

Concentriamoci per un attimo sui due maggiori prodotti della propaganda putiniana e cioè il M5S e la Lega di Salvini. Quest’ultima nel 2017, un anno prima delle elezioni politiche italiane, firmava un patto di collaborazione con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Nel 2018 il nome del leghista Gianluca Savoini è emerso in una serie di inchieste giornalistiche per un presunto coinvolgimento in una trattativa commerciale tra aziende russe e italiane che avrebbe portato a finanziamenti illeciti di partiti politici italiani, in particolare della Lega.

Tuttavia il caso più eclatante di servilismo nei confronti del Cremlino, è quello del M5S. Basterebbe solo andare a ricercare vecchie interviste, interventi o post da parte di esponenti pentastellati per notarlo («La politica internazionale ha bisogno di uomini di stato forti come loro [Trump e Putin]. Lo considero un beneficio per l’umanità. Putin è quello che dice le cose più sensate in politica estera» Beppe Grillo, intervista al Journal du Dimanche, 22 gennaio 2017).

Ma sarebbe esercizio troppo facile, e dopotutto è fatto notorio che “in politica le parole valgono solo nel momento in cui si dicono”, quindi limitiamoci ai fatti.

Il M5S voleva uscire dell’euro, dall’UE e dalla NATO (così come la Lega di Salvini, N.d.R) chi ha incoraggiato, finanziato e tratto giovamento da questo indebolimento del “fronte interno” dell’UE? L’ex tenente colonnello del KGB.

La cosa che Putin vuole maggiormente è l’indebolimento dell’Occidente, perché è un modello di sviluppo troppo attraente per paesi vicini alla Russia (e Putin non concepisce come una persona possa volere la democrazia nel suo Paese; per il Presidente russo questo è un concetto incomprensibile). Troppi paesi democratici vicino alla “sua” Russia sono –nella sua concezione di Stato e società- pericolosi perché portatori di instabilità e di, possibili, disordini civili.

Un altro termometro utile a mostrare come Putin ha influenzato il nostro Paese è, ovviamente, il gas.

Tutti avrete notato i rincari in bolletta. Ecco, questi sono figli -oltre che di una politica energetica folle e demenziale, a cominciare dall’addio al nucleare del 1987 confermato, purtroppo, da un altro referendum nel 2011- anche dai ritardi nella costruzione del TAP, il Trans Adriatic Pipeline.

Questa fondamentale infrastruttura trasporta il gas naturale dall’Azerbaigian e dal Caucaso in generale, in Europa e proprio il TAP ne è l’ultimo tratto. Il M5S ha fatto un campagna di disinformazione sul TAP ai limiti del surreale, propalando fake news in maniera costante e continua.

Ecco oggi paghiamo –letteralmente- quei ritardi.

Oltre al TAP, i penta stellati furono in prima fila per un’altra campagna folle, quella per vietare le estrazioni di gas naturale nell’Adriatico. I latini avrebbero detto “Cui prodest?”, a chi giova, chi ha da guadagnare, da questa continua disinformazione sul gas? Sempre lui, l’uomo del KGB. Putin ha usato –e usa- il gas come arma di ricatto geopolitico e noi italiani, con le nostre sclete, abbiamo stretto il cappio che il presidente russo ci ha stretto intorno al collo.

Più di recente (la memoria a breve termine potrebbe aiutare) precisamente nel marzo 2020 mentre l’Italia, è in pieno lockdown, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte accetta l’offerta di Putin di inviare 9 aerei cargo militari con materiale medico per contrastare la pandemia (materiale poi rivelatosi scadente, per ammissione degli stessi medici italiani che hanno lavorato col personale russo).

Lo «sbarco dei russi» a Roma, con le immagini rilanciate da Mosca in tutto il pianeta attraverso le tv di stato e i social network, è stato ripreso dai mezzi di informazione europei. Intervistato a stretto giro dalla BBC sulla questione, Conte rispose: “Solamente il sospetto” [che gli aiuti forniti dalla Russia abbiano un secondo fine] è “un’offesa per me e per il governo italiano”, ma “anche per Vladimir Putin”. Insomma, si affrettò subito a difendere se stesso –legittimamente- e il Presidente russo (un po’ meno legittimamente).

Ora, il problema per noi italiani non è solo Putin (anche se ormai è evidente sia una minaccia ai valori occidentali, e chi non vuole vederlo è liberissimo di farlo. Proprio perché vive in Occidente), il vero problema sono quelli che sono stati i suoi megafoni nel corso degli anni e quale sarà il nostro comportamento in cabina elettorale con i suddetti. Per quanto ancora il M5S fischietterà sul suo –recente- passato, e per quanto ancora il Pd gli offrirà un comodo rifugio e nascondiglio? Cosa farà in quella cabina un elettore di destra, conservatore e affascinato da Putin, davanti all’improvvisa giravolta da parte dei suoi leader di riferimento Giorgia Meloni e Matteo Salvini?

P.S: Per chi volesse approfondire il peso dell’influenza russa sui nostri media, consiglio questo paper: https://fondazionegermani.org/wp-content/uploads/2021/09/Linfluenza-russa-sulla-cultura-sul-mondo-accademico-e-sui-think-tank-italiani-DEFINITIVO.pdf

Questo è il mio primo articolo, prometto che la prossima volta sarò più breve.

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