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La scuola della normalità

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Le criticità tra i banchi nel terzo anno scolastico di pandemia, dal rientro dalle vacanze di Natale alla maturità

La pandemia ci ha portato via la normalità e la guerra tra Russia e Ucraina sembra che si sia portata via la pandemia, senza restituirci, però, la normalità. Sicuramente non quella scolastica.

Come ormai si parla poco di Covid, infatti, si parla pochissimo anche di DAD e dell’aria che si respira tra i banchi nell’ormai quasi terzo anno scolastico in pandemia.

Non è una bell’aria. E non certo perché non teniamo aperte le finestre come le ordinanze impongono, ma perché noi tutti, ragazzi e docenti, siamo esausti.

Dal marzo 2020 fino alla scorsa settimana si sono succedute innumerevoli ordinanze ministeriali volte a regolamentare la nuova vita scolastica (o parascolastica) e il risultato è stato la enorme confusione di cui si è parlato nelle prime settimane di gennaio, quando è iniziata quella che personalmente chiamo la deriva del “Noi andiamo verso la normalità, anche senza di voi” presa dal ministero dell’istruzione.

Mi spiego meglio.

Ricordate che prima della guerra (anzi, prima che la guerra ci apparisse di colpo così vicina) le vacanze di Natale sono state travagliate da uno dei picchi più aspri nella diffusione del contagio? Ricordate il bollettino giornaliero? De Luca che sguaiatamente gridava che no, in Campania le scuole non avrebbero riaperto il 7 gennaio perché il rientro in quelle condizioni sarebbe stata una follia?

Ecco, in quei giorni una moltitudine di docenti di vario ordine e grado di scuola, me compresa, erano a casa col Covid. La deriva del “Noi andiamo verso la normalità, anche senza di voi” è a noi docenti che si riferiva, perché le scuole hanno riaperto sì il 7 gennaio, ma con pochi insegnanti. I superstiti hanno fatto i salti mortali per supplire ai colleghi assenti e gli orari di molte classi sono stati ridotti.

Risultato? Un rientro a scuola “normale” che esiste solo sulla bocca di chi non vuole ammettere le storture, vecchie quanto il mondo, di un sistema scolastico fatto da docenti con una età media altissima, da reti informatiche degne di un paese in via di sviluppo, da un sistema di reclutamento che fa acqua da tutte le parti, un sistema, per farla breve, che si basa sul volontariato.

Ecco quindi la nuova frontiera della scuola ai tempi della pandemia: pretendere ed ostentare una normalità che sicuramente non c’era a gennaio e certamente non ci sarà neanche a fine giugno.

Mi riferisco a un’altra grande tessera del mosaico “torniamo alla normalità con voi o senza di voi”: la scelta di reintegrare le prove scritte nell’esame di stato, in particolare la prima prova nazionale di italiano, decisione ormai data per sicura, che ha portato nelle scorse settimane gli studenti a manifestare, autogestire ed occupare le loro scuole.

I ragazzi che adesso sono in quinta hanno iniziato il triennio delle superiori nel nuovo mondo, quello del virus, e sono, oggettivamente, quelli che hanno sofferto di più da un punto di vista didattico e di costruzione delle competenze.

A marzo della terza si sono chiusi nelle loro camerette e quando sono tornati in classe la scuola era distanziamento, era mascherine, era entrate e uscite scaglionate, poche o punte ore di laboratorio, DDI a fasi alterne, professori assenti anche per venti giorni di fila e impossibili da sostituire.

(Per comodità l’ho chiamata DAD anche io, ma dal a.s. 2021-2022 dovremmo parlare di Didattica Digitale Integrata, una modalità mista che integra momenti di insegnamento a distanza, svolti su piattaforme digitali,ad attività svolte in presenza, e che diventa mista davvero quando magari solo uno o due studenti sono a casa malati e gli altri in classe fisicamente)

Nell’anno scolastico 2019-2020, quello in cui a aprile ci venne comunicato a reti unificate che non avremmo potuto bocciare nessuno, l’esame di stato consisteva in un lungo orale, senza scritti.

Così è stato anche lo scorso anno.

A luglio, invece, i maturandi saranno chiamati a sostenere nuovamente uno scritto di italiano nazionale, con tracce uguali per tutte le tipologie di scuola secondaria di secondo grado del paese e una seconda prova di indirizzo ideata da ogni istituto.

Il ritardo con cui è stata pubblicata l’ordinanza che norma l’esame, ormai al terzo anno scolastico in emergenza, è deplorevole e parla già da solo. E io mi chiedo: a quelli che hanno ricevuto l’offerta didattica più traballante e faticosa per tutti e tre gli anni cruciali del triennio, proprio a loro rimettiamo gli scritti? Proprio a loro rimettiamo una prima prova nazionale, solo per poter dire di averlo fatto?

Decidiamo davvero di non preoccuparci del come sia stato oggettivamente possibile preparare questi ragazzi, arrivando inoltre a marzo inoltrato senza nessuna certezza? Sembra proprio di sì.

Noi andiamo avanti verso la normalità, anche senza di loro.

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