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Femminicidio. 10 parole

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Può sembrare retorico me ne rendo conto, ma credo che passare sotto silenzio una minaccia e un terribile fenomeno sociale come quello del cruento omicidio delle donne, sia pericoloso per tutti.

La parola “Femminicidio” nasce dall’esigenza di inquadrare un fenomeno vecchio come il mondo e normale fino a qualche secolo fa (e non troppo visto che in alcuni sistemi culturali è ancora lecito, giusto e assolutamente tollerato), in cui la logica del possesso della donna, della moglie, della figlia era del tutto normale.  Tu sei mia e io ne dispongo come voglio, e visto che sei mia non tollero che tu scelga, e se scegli ho diritto di privarti della vita, tanto non ti appartiene.

Tutto perfettamente normale, quindi, come frutto di una tradizione patriarcale perpetuata nel tempo, radicata anche in ognuno di noi come convenzione sociale, retaggio che aleggia nelle nostre menti volenti o nolenti. Anche in me, per certi versi lo ammetto.

Ma, non solo da oggi, (avremmo dovuto farlo secoli fa e impegnarci di più) dobbiamo avere il coraggio di cambiare le cose e non soltanto inquadrare il fenomeno.  59 donne uccise in meno di sei mesi per mano di compagni, mariti, amanti, padri, fidanzati o ex fidanzati, nel nostro bel paese sono un dato intollerabile sia a livello umano che politico.

Non possiamo continuare a pensare che il buio nelle case degli altri non sia un nostro problema e che le questioni private protette dalle mura e dalle porte chiuse non rappresentino un problema di interesse politico. Non quando si viola la dignità umana, si mina il ruolo civile e umano delle persone e si commettono crimini dalla violenza più truce.  Perché, badate bene, non è solo la violenza dell’omicidio in sé (che arriva a livelli indicibili che non sto a ricordare) ma per l’ideologia che porta a questo. La regola del possesso, la totale assenza dell’identità dell’altro, del rispetto delle scelte, dei bisogni e dell’umanità dell’altra persona solo perché è una donna e di lei ci si può approfittare, perché? Perché non importa, perché così da quando esiste il mondo.

La parola dicevamo, la parola Femminicidio. Un neologismo del nostro tempo che classifica un fenomeno e che se da un lato lo fa emergere da un lato riesce anche a renderlo comune. Come quando l’assassino è un mostro e si vabbè cataloghiamone un altro e lasciamo che Barbara D’Urso ci costruisca la sua pantomima pomeridiana. Il rischio è proprio questo, che tutto diventi normale e che serva solo ad alimentare dialoghi sterili quando dovremmo  provare non solo a capire le ideologie e i meccanismi che sono all’origine di certi gesti, ma provare davvero a cambiare le cose non delegando soltanto al lavoro delle associazioni (tra l’altro, grande lavoro) nell’affrontare il problema.

Detto questo, in questo breve articolo vorrei analizzare, oltre alla retorica, 10 parole legate all’essere donna, avere paura ed essere vittima del Femminicidio.

Il concetto di “donna da sola” non piace perché sotto sotto nessuno crede che possiamo essere in grado di decidere per noi stesse e non avere bisogno di un uomo per vivere e questa cosa spaventa: spaventa la società e spaventa anche le donne quando sono perseguitate da un uomo che rivendica la proprietà della loro vita ed effettivamente non ragiona più. Per questo ho individuato 10 parole e ho provato ad analizzarle per quanto mi è possibile da entrambi i punti di vista, uomo e donna.

Paura. Una parola che caratterizza l’esistenza di ogni essere umano. La paura della perdita per l’uomo e la paura di esporsi per la donna.  Il paradigma sintetico del fenomeno potrebbe essere semplicemente questo. Non banale, ma tristemente vero purtroppo. Quando abbiamo paura facciamo o non facciamo cose che ci sembrano impossibili, come uccidere la persona che amiamo o  fare in modo che questa persona ci metta inesorabilmente sotto scacco.

Proprietà.  Da Rousseau in poi la proprietà privata è un concetto quotidiano, ormai radicato nella nostra quotidianità. Ma non è applicabile sulle persone e l’amore possessivo è la base di questo disagio. Tu sei mia e non importa cosa tu pensi o scelga, io dispongo della tua vita e della tua morte. Può essere un processo bilaterale, certo, anche delle donne hanno ucciso per amore, ma la nostra cultura pende sempre da una parte. Il problema è che non siamo proprietari nemmeno del nostro cane e farlo con un altro essere vivente e senziente non va bene. Ma sei banale, mi direte perché la questione è ben più complessa: certo che sì. Nella logica del possesso rientrano le pulsioni e i sentimenti più forti come la gelosia, la prevaricazione, la minaccia e la violenza. Tutte cose che nascono da un disagio personale e che non si possono e non si devono generalizzare. Ma sono sicuramente pericolose.

Protezione. “Ti proteggerò, stai tranquilla”… “ Povero, si comporta così perché sta male, non posso denunciarlo, ne soffrirebbe”

La protezione è l’altra faccia del femminicidio secondo me. Una protezione malata e difficile da entrambe le parti in cui l’altro è visto come colui e colei da proteggere: salvare lei dagli altri che potrebbero farle del male o giudicare lui nei suoi gesti sconsiderati. Ed è qui che la protezione, questa parola che racconta di un rifugio, del sentirsi a casa al sicuro, si trasforma in controllo da un lato ed omertà dall’altro. Ma c’è un terzo ambito in cui inserirei questa parola: la sfera politico sociale. Sì perché, come accennato prima, la cosa privata deve diventare Res Publica e quando le denunce ci sono bisognerebbe evitare che avvenga il peggio.

Scelta. Si sceglie di cambiare se si vuole e a volte non si ha scelta. Braccati, spalle al muro ormai le non scelte sono state fatte e la situazione non si cambia.  Questo vale per le donne che restano intrappolate in un amore che non è amore ma è solo malattia.

Scusa. Non ci sono scuse o appelli per una donna uccisa, violentata o massacrata per gelosia o per riempire il proprio ego o la propria frustrazione. E non bastano le scuse che lei a ripetizione dirà e nemmeno quelle che lui non farà mai, nemmeno di fronte alle telecamere quando sarà bollato come mostro.

Ruolo.  Donna, Uomo o Uomo, Donna, ci aspetta sempre che tutti abbiamo ruoli e comportamenti da tenere. L’uomo sarà il capofamiglia e la donna la madre, la donna curerà la casa e l’uomo porterà i soldi a casa. Ma è davvero così che vogliamo continuare? Vogliamo insegnare questo ai nostri figli? Io no.

Aiuto. Chiedere aiuto e non giustificare è l’unica via d’uscita perché lui in questo caso ne ha davvero bisogno. Quindi la vergogna va superata insieme al pensiero di renderlo migliore come fece la topolina innamorata del gatto, che alla fine se la mangiò.

Potere. Esercitare potere coercitivo, limitante e oppressivo è sempre sbagliato, Che si parli di un popolo, di un figlio o di una moglie. Iniziare a capire le ragioni che spingono ad esercitarlo questo potere malsano, potrebbe essere un buon punto di partenza. E magari capire anche perché le donne molto spesso lo accettano e soccombono. Proviamo a partire da qui.

Manipolazione. Diretta conseguenza del potere oppressivo la manipolazione è la sua dimensione più affascinante. Sa essere adulatoria, incanta e placa le pulsioni di libertà. Ma si insinua, un passo alla volta si insinua. Riconoscerla e magari ribellarsi in tempo sarebbe ottimo. Ma la meraviglia e l’incanto possono essere cattive consigliere, purtroppo.

Genere. Ci si riempie la bocca di gender e teorie di uguaglianza di genere. Ma il nocciolo della questione sta davvero qui: nella differenza percepita tra uomini e donne, in cui cresciamo bambini che non possono vestirsi di rosa e devono per forza giocare a calcio e bambine che non possono permettersi di portare i capelli corti e devono giocare a fare le mamme. Perché la mamma sta a casa, non fa carriera e si realizza nei figli e nell’uomo che la ama. Se lei non lo ama però, non importa a nessuno.

In tutto questo non leggete un decalogo perché purtroppo nessuno sa come si fa. Come si fa davvero a essere uguali, essere liberi e scegliere senza condizionamenti. Senza finire ammazzate o sfregiate. Ma se ognuno tirasse fuori 10 parole per provare e riflettere davvero sui rapporti, sui ruoli e le percezioni sociali, qualcosa potremmo davvero costruire.

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