Testo che ci ha inviato Renato Gangemi, impegnato da sempre in battaglie ambientaliste.
Quando ho letto i 10 punti di Legambiente a sostegno dei referendum sulle trivelle, e mi sono reso conto di non essere d’accordo su nessuno degli argomenti usati nella loro propaganda, ho avuto un sussulto.
Non tanto l’irritazione di sentirmi preso in giro con argomenti non in grado di reggere il confronto con un qualsiasi esperto sui temi della politica energetica, quanto la sensazione di vedere buttati a mare, insieme alle trivelle , un quarantennio di storia che ha visto nell’associazionismo ambientalista, il formarsi di una classe dirigente in grado di dare risposte ad un paese che voleva cambiare. Perché inquinare un referendum con slogan ingannevoli e con argomenti antiscientifici che, chiunque, anche il più incompetente, ma con un po’ di pazienza ed un briciolo di intelligenza, cercando nei siti giusti, può trovare vuoti e pretestuosi?
La risposta forse è già qui, nella rete, non tanto perché è ormai uno strumento di propaganda, ma perché probabilmente per questa nuova generazione ambientalista non interessa più approfondire le proprie tesi e cercare il dialogo per condividerle. I #notriv , e alcune grandi associazioni ambientaliste , in questo referendum , si sono infatti preoccupati più di “fare surf” tra le notizie più accattivanti per riproporle sulla rete a sostegno di tesi precostituite dimostrando disinteresse sia della strategia energetica nazionale che del destino di migliaia di lavoratori specializzati e delle loro famiglie.
Dato che non si parla di centrali nucleari, ma del proseguimento dell’estrazione di gas naturale, quello allora mi chiedo dov’è finita l’etica della responsabilità del movimento ambientalista che ho conosciuto e ho praticato nel passato?
Cosa dovrei fare a questo punto, gettare nella spazzatura le tessere di Legambiente degli anni 80 – negli anni di Laura Conti per capirsi – o il numero zero della Nuova Ecologia – che conservo ancora gelosamente – memore dello slogan di quel tempo che recitava “Pensare globalmente ed agire localmente?”
Storicamente in Italia il pragmatismo di certi settori dell’ambientalismo scientifico si è spesso dimostrato impaziente nel voler dimostrare capacità di governo invogliando i loro esponenti ad entrare nelle amministrazioni di sinistra. Non è stato certamente un percorso facile. Adesso evidentemente , si giocano altre partite, adeguando anche linguaggio e posizionamento politico.
Dati e numeri.
Sicuramente a molti ambientalisti quello che fa questo governo può sembrare insufficiente. Ma, al netto dei provvedimenti presi- e non sono pochi – ci sono dati incontestabile di un paese che va nella direzione giusta. L’Italia è infatti tra le 12 maggiori economie del mondo ( ovvero metà dell’intera economia mondiale, quindi il 65% e il 60% delle emissioni di gas) la prima per efficienza energetica.
Nelle proiezioni per il 2016, per le emissioni di gas nocivi nei Paesi dell’Unione Europea – prendendo in considerazione il quinquennio 2011-2016 – l’Italia ha visto una loro diminuzione del 20%. Il nostro paese è al 1° posto, con un netto stacco su la Francia (23° posto) Germania (26° posto con un aumento di emissioni del 2,2%) e l’Inghilterra ( con un +9,3% di emissioni).
In diminuzione anche sono anche i consumi reali con un valore pro-capite di 2,4 tonnellate equivalenti di petrolio (Tep) contro 3,7 Tep dei cugini francesi e i 3,8 Tep dei tedeschi.
Progressi che vanno nella direzione della sostenibilità ambientale, progressi che si possono verificare analizzando rapporto tra PIL e consumi energetici , dato che vede un’’Italia, più verde, ed impegnata in un mutamento strutturale del sistema energetico.
“Nel 2014 sono stati emessi circa 300 grammi di CO2 equivalente per produrre un euro di Pil a fronte dei 400 grammi per ogni euro di Pil del 2005” (Cit. Rapporto Fondazione per lo sviluppo sostenibile 16/02/15).
Dati che la dicono lunga su quanto il dibattito dei #notriv sul sistema paese prenda strade poco credibili che descrivono una realtà inesistente.