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Disinformazione e bufale on-line. Il paradosso del complottista

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Intervento che ci ha inviato Renato Gangemi.

Aver visto il giornalista Massimo Gramellini cadere in uno dei suoi editoriali nella bufala della “banca che potrà portarti via la casa non riesci a pagare 7 rate” ci fa capire quanto sia insidioso prestar orecchio alle notizie on-line e quanto la foga manichea ci renda vulnerabili alle insidie della rete.

Spesso basta una piccola manipolazione dell’informazione per istigarci, nostro malgrado, condizionati spesso dal nostro momentaneo piccolo interesse di bottega o dalla nostra collocazione antropologica nell’agone politico, e farci lanciare sulla rete, con soddisfazione, il nostro “messaggio-contro-il–sistema” o contro il nostro “nemico politico n.1”, tranne poi scoprire di essere rimasti vittima di una bufala.

Il come e il quanto siamo esposti a questi tranelli ce lo può far capire meglio un divertente – quanto interessante – studio pubblicato sulla rivista “Le scienze” di questo febbraio dal titolo “La fine dell’informazione”. Una ricerca che s’inoltra nei meccanismi di diffusione in rete di notizie clamorose e soprattutto di bufale, ghiotto boccone di siti ormai specializzati nello svelarne le basi malferme come “Bufale.net” , “butac.it” o “Attivissimo.net”.

Già, chi non ha avuto la tentazione di condividere o cliccare il famigerato mi piace sulla notizia curiosa proveniente nel mondo dei social? Tra le singolari scoperte fatte da questo team di studiosi dell’IMT Alti Studi Lucca, c’è ne è una che merita una particolare attenzione: l’esposizione continua a notizie provenienti da “fonti alternative” ha come risultato che i soggetti inseriti in queste situazioni, sono “più propensi a mettere like”, condividere e commentare informazioni non verificate. Da qui il “paradosso del complottista”: chi è più persuaso alla “manipolazione” perpetrata dai mezzi di comunicazione “manipolati” più è propenso a interagire con fonti d’informazioni intenzionalmente false, ed è quindi più facilmente manipolabile. Non solo. Più sei diffidente e credi ai complotti, più sei vittima delle bufale della rete, più clicchi e condividi, diffondendo false notizie per la gioia di chi guadagna sulla pubblicità online.

Anche se la durata della viralità delle notizie eclatanti (quelle con caratteri maiuscoli e commentate da “vergogna!” e “condividi!”) si esaurisce nello spazio di 24 ore, c’è poco da gioire, dato che è assodato che nessuno dei complottisti si preoccupa mai di andare a verificare se i contenuti cliccati, condivisi, e commentati siano notizie vere oppure bufale.

Vige una netta separazione e incomunicabilità tra mondi: i complottisti e il resto del mondo continuano nella reciproca indifferenza a navigare separatamente tra le onde del mare tempestoso delle notizie (vere ed inventate).

Ci domandiamo a questo punto se c’è qualcuno che ci guadagna da questa condizione di permanente sollecitazione mediatica? Ci sono imprenditori che non sono affatto disinteressati alla viralità delle notizie, anzi. Nelle settimane scorse si è infatti molto parlato degli affari segreti del “sacro blog”. Una serie di inchieste (anche stavolta c’è di mezzo La Stampa, ma non Gramellini, bensì il giornalista-blogger Jacopo Jocoboni) hanno svelato al grande pubblico parte dei meccanismi nascosti che oliano il sistema dei blog gestiti dalla Casaleggio & Associati. Non sono chiare le percentuali degli incassi ma si parla di una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video o post dei parlamentari grillini che sono visualizzati sul blog. Un gioco che funziona da tempo e la cosa fa notizia, data la comprovata abilità che hanno maturato a navigare in questo mare di bufale e di notizie virali gli esperti gestori dei siti della galassia 5 stelle.

Concludo questa mia divagazione con il famoso post dell’ ex fedele collaboratore del duo Grillo-Casaleggio , Marco Canestrari, citato in uno dei servizi de La Stampa.
“I siti della galassia (TzeTze, La Fucina, LaCosa)” – dice Canestrari – “nati per cercare di inventare un nuovo sistema di informazione, sono diventati una macchina per creare consenso facile con sistemi di dubbia moralità. Non trovo nessuna differenza tra il Canale 5 del 1994, dove Sgarbi vomitava insulti per creare il brodo necessario a Forza Italia, e LaFucina che usa le tette della Boschi per attirare qualche clic con titoli scandalistici, o propaganda rimedi al limone contro il cancro, o fa terrorismo contro i vaccini che provocherebbero l’autismo; ma poi c’è il M5S, in regione Lombardia ad esempio, che fa interrogazioni, proposte di legge, proteste, basate su evidenze scientifiche nulle, passando all’incasso del consenso”

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