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Family Day. Una domanda: quale famiglia?

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Un nuovo articolo per Fuoricomeva inviato da un nostro lettore. “Family Day. Una domanda: quale famiglia?” di Rocco Garufo

Nel 1867 John Stuart Mill presentò al Parlamento inglese un emendamento per la riforma del suffragio elettorale. Tale emendamento prevedeva di sostituire nel testo della legge la parola “man” con “person” e aveva l’obiettivo di estendere il diritto di voto alle donne. In quell’ occasione la proposta di Mill venne bocciata con 196 voti contrari e 3 voti a favore. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e fortunatamente il suffragio universale, almeno nei paesi più avanzati, è riconosciuto come un diritto politico fondamentale grazie anche alle lotte dei tanti movimenti femministi.

Lo stesso espediente che Mill utilizzò per scardinare i pregiudizi legati al voto femminile, si potrebbe applicare per modificare le nostre categorie mentali cristallizzate attorno al concetto di famiglia.
Dovremmo cominciare ad immaginare la famiglia come un’entità composta da persone in carne ed ossa che, indipendentemente dal sesso, sanno costruire legami forti, fondati sulla reciprocità di affetti e sentimenti profondi. Persone che hanno la capacità di trasmettere l’intensità di tali sentimenti ai figli, naturali o adottati che siano, attraverso la cura che avranno di loro lungo tutto l’arco della vita.

D’altronde, la famiglia nucleare, quella composta da padre, madre e figli, è una costruzione storica, cioè una struttura sociale che non è data in natura, ma è realizzata dalla razionalità degli esseri umani come una determinata forma organizzativa. Come “prodotto storico” è anche relativamente recente, poiché comincia a formarsi tra sette e ottocento presso gli strati borghesi della società industriale.

La storia, la letteratura, la mitologia e la stessa teologia danno conto di una molteplicità di modelli di famiglia assai diversi da quella nucleare. Dovremmo pensare a quanto fosse “atipica”, secondo il giudizio delle odierne categorie concettuali, la famiglia di Abramo, il padre delle tre grandi religioni monoteiste; o al permanere fino a tempi molto recenti, nell’Italia centro settentrionale, della così detta “famiglia allargata”, tipica delle strutture agrarie mezzadrili; o all’infinita diversità di tipologie familiari esistenti nel mondo dalla notte dei tempi fino ad oggi.

Molto più semplicemente, basterebbe osservare le modificazioni radicali che ha subito il modello di famiglia tradizionale negli ultimi trent’anni, frutto di cambiamenti profondi avvenuti nella società, nell’ economia, nella cultura e nella sfera dei rapporti interpersonali, per rendersi conto di quanto siano reazionarie e “sovrastrutturali” le pretese di chi pensa alla famiglia come qualcosa al di fuori della storia, eterna e immutabile, immune ad ogni cambiamento.

Sotto la visione della famiglia come struttura immutabile, rigida nei ruoli e definita forzosamente nelle identità sessuali e di genere, si nasconde la confusione fra la coppia eterosessuale, intesa come unità funzionale finalizzata alla riproduzione e la famiglia come microcosmo composto di affetti, sentimenti, relazioni profonde e intense che legano tutti i componenti.

I cattolici più ferventi sostengono che il matrimonio è un istituto finalizzato alla riproduzione, forse poco consapevoli che con questa affermazione si riduce la complessa sessualità umana e la sfera dei sentimenti familiari ad una funzione biologica circoscritta alla dimensione degli istinti. Nel “Testamento di Tito” Fabrizio de Andrè afferma: “feconda una donna ogni volta che l’ami così sarai uomo di fede; poi la voglia finisce e il figlio rimane e tanti ne uccide la fame. . .” Basterebbe guardarsi intorno per vedere quanto disagio, sofferenza e angoscia si producono nei bambini quando i loro padri e le loro madri ritengono esaurito il compito di genitore con la procreazione. E forse oggi, in un mondo popolato da 7,5 miliardi di esseri umani, sarebbe quanto mai necessario cominciare a ripensare i concetti di riproduzione, famiglia, amore, sessualità, sentimenti e adozioni.

Personalmente non ci vedrei proprio niente di male a strappare dalla fame e dalla miseria bambini senza famiglia, per darli in adozione a famiglie composte di persone dello stesso sesso, che comunque sarebbero in grado di crescerli con il massimo della cura e dell’affetto possibile, tanto per fare un esempio. Così come con vedo niente di male a vedere soddisfatta l’aspirazione alla maternità e alla paternità delle coppie omosessuali attraverso lo strumento della stepchild adoption.

Una “rivoluzione” comincia sempre con un primo passo. Cominciamo col pensare alle famiglie come composte da persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; cominciamo con l’affermare che tutte le persone hanno gli stessi diritti; cominciamo col dire che ogni bambino ha diritto ad una famiglia che si prenda cura di lui, al di là del fatto che i genitori siano etero e omosessuali. Cominciamo con l’approvare il DDL Cirinnà cos’ com’è.
Ma soprattutto cominciamo a sostenere ogni famiglia o unione con delle vere politiche di welfare.

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