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Un livornese all’Expo

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Ho fatto la follia (perché di follia si tratta) di recarmi all’EXPO di Milano qualche giorno fa. Vi riporto le mie impressioni, quelle di semplice visitatore.

Presupposti
Mi reco all’EXPO con grande curiosità e sospinto da due motivazioni: la prima di natura professionale (sono un dietista e il cibo è materia con la quale lavoro giornalmente) e la seconda con natura di spinta sociale, seguendo il pensiero “È una manifestazione incredibile, e la fanno in Italia: quando ti ricapita di vederla?”.

Arrivo a Milano il giorno prima di quello in cui visiterò l’EXPO, partendo da Livorno alle ore 20.30 una volta ultimato il mio turno di lavoro. Arrivo previsto ore 00.30, più o meno rispettato.

Alloggio e confronto con il “milanese imbruttito”.
Giunto in alloggio mi intrattengo (contro la mia volontà) a parlare con il proprietario del letto nel quale dormirò una notte: è un milanese classico ma inspiegabilmente loquace, 40 anni e single, con l’accento molto marcato che fa l’architetto in cantieri sparsi nella regione. Mi spiega che la città è viva tutte le sere, c’è sempre da fare qualcosa, tengono tutti un ritmo alto e lui non vivrebbe mai in una città con poco lavoro e poche attrattive come Livorno.

Mentre provo a spiegargli che ricambio di cuore il suo sentimento e che se non fosse stato per l’EXPO non avrei ancora messo piede a Milano in vita mia, perché non c’è stipendio che equipara i navigli alla scalinata di Banditella, mi spiega che ha rilevato qualche anno prima l’appartamento ad un prezzo abbastanza basso e una volta deflagrato l’EXPO ha provato a ristrutturarlo e immetterlo nei vari circuiti web. Io l’ho preso a 80 euro a notte, ma mi confessa che le cifre sono salite molto ultimamente e in giro non c’è una camera vuota.

A suo dire l’EXPO è stata una manna in tutti i sensi: non tanto per i suoi guadagni extra momentanei, ma perchè ha cambiato il volto ad una parte di città messa molto male tra criminalità e ratti giganteschi, cambiato il volto urbano di Brembate (ricordatevi bene che l’EXPO è in quel quartiere) e delle frazioni limitrofe. Oltretutto pare aver portato molto lavoro: “Avevo amici disoccupati da anni: ora lavorano anche 10 ore al giorno ma prendono più di 1500”.

Visita all’EXPO:
Con i miei biglietti acquistati sul web, con salta-la-fila e prezzo stracciato, mi appropinquo ai tornelli dopo aver fatto in un’ora, una decina di chilometri che separavano il mio appartamento dal parcheggio (che vi consiglio di ricordare molto precisamente onde evitare di perdersi al ritorno). I tornelli veloci sono sulla destra, ma la fretta è una cosa che va lasciata fuori onde evitare snervamenti eccessivi.

Una volta entrato, l’EXPO si presenta con una parte iniziale che è il cosiddetto Padiglione 0, che poi consiste in un vialone centrale di un paio di chilometri dove si affacciano ai lati gli ingressi dei padiglioni delle varie nazioni. Sicuramente l’impatto architettonico è splendido: dal Nepal che ricostruisce all’esterno del suo padiglione una capanna dei monaci, alla Malesia che ha strutturato i suoi padiglioni come tre grandi semi ovoidali appoggiati l’un l’altro; dal Dubai che ricostruisce un piccolo agglomerato di case tipiche, all’Ungheria che ha come padiglione una gigantesca botte di legno. Visto che una giornata è un tempo risicato per visitare questa esposizione, scelgo di visitare i padiglioni delle nazioni con meno fila. Penso di aver fatto bene: in primis perché in realtà ogni padiglione merita la visita ed in secundis perché alla fin fine mi sono rimasti fuori solo Giappone (che aveva almeno due ore di fila a fronte delle leggendarie 5 ore che si sono toccate nei giorni più caldi), Italia, Cina e Kwait e Brasile.

Nell’Europa continentale meritano un plauso la Gran Bretagna, che ha impostato il padiglione sul tema api-miele e costruito un monumento a forma di alveare, la Germania e la Francia con un padiglione di legno che ricorda molto il Parasol di Siviglia e la Slovenia con dei sensazionali occhialoni-simulatori degli scorci del proprio paese.  Deludenti Spagna, Ungheria e Austria. Senza infamia e senza lode l’Argentina e il Cile, i vari padiglioni tematici su caffè e cioccolato, spezie e biologico, mentre assolutamente degni di nota i padiglioni di Dubai (che offrono alle visitatrici femmine un cuscino tipico), della Malesia (che ha ricostruito un pezzo di foresta pluviale nel padiglione) e della Thailandia (anche se il filmato proiettato come ultima attrazione nel quale viene paragonato il Re ad una sorta di Dio dell’Agricoltura è abbastanza inquietante).

Considerazioni
Riassumerei le mie considerazioni con questa frase: tutto bello, ma non ho capito niente. Ovvero: l’ambiente è bello, ben organizzato e piacevole. La sfida con la città pare vinta, ci sarà da capire come utilizzare quella struttura una volta che l’EXPO sarà ultimato considerando pure che molti dei padiglioni verranno smontati e rimontati nelle nazioni di appartenenza. La sfida economica pare stravinta, con un surplus per il nostro PIL considerevole (sono curioso di vedere le cifre che usciranno alla fine della manifestazione).

È sui contenuti il punto debole di tutta la manifestazione. Se l’intenzione era parlare di “food” nei vari aspetti e con le sfide a cui si appresta un globo vicino ai 9 miliardi di bocche che intendono nutrirsi quotidianamente, ci siamo andati lontani. Tra quelli che ho visitato molti hanno creato un momento di veicolazione turistica dei propri paesi, ben pochi hanno parlato di sostenibilità ambientale e sicurezza degli alimenti (tranne la Thailandia e la Malesia molto vagamente), rarissimi i casi in cui si pone l’accento sulla produttività delle colture (Dubai con le sue colture idroponiche e Israele vi hanno tuttavia incentrato lo stand) e tristemente nessuno ha discusso di distribuzione delle risorse al fine di debellare fame e malnutrizione tranne gli USA. A tal proposito, credo che gli Stati Uniti si meritino la palma come miglior padiglione, che seppur tra i meno “belli” dal punto di vista architettonico si aprivano con Obama e Michelle che lanciavano #imninebillions e parlava si nutrire i pianeta, colture e tecniche innovative come il sorgo, l’arricchimento di aminoacidi delle colture e l’agricoltura di precisione. La mia personale palma di peggior padiglione la assegno ad uno dei più belli. L’Austria ha ricreato un pezzo di foresta austriaca nel proprio padiglione e lanciava il messaggio #breathAustria, mettendo l’aria pulita come presupposto alla vita e quindi al cibo: un salto mortale quadruplo mal riuscito.

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