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Ucraina. Insorgere per la democrazia

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Quarta puntata, che riguarda il contesto politico e la storia contemporanea del paese da cui provengono più ‘nuovi livornesi’, dopo la Romania, l’Albania e il Perù: l’Ucraina.

Dato che la vita è paradossale molto più spesso di quanto poi ci si ricordi, va annotato da subito che l’Ucraina è (a) il paese dove oggi è ancora in corso la guerra civile più vicina, geograficamente, all’Italia (b) il paese della squadra per la quale nel 2007 è andato a giocare Cristiano Lucarelli.  Queste due cose sono meno lontane di quanto appaiano, perché il contesto politico dell’Ucraina, quello che ha spinto moltissime donne a emigrare verso altri paesi fra cui l’Italia, è anche quello in cui lo scontro con la Russia sfocia in una guerra civile, ed è ancora quello in cui a scegliere e a finanziare l’acquisto di un calciatore straniero sono i poteri degli oligarchi: pochi, potentissimi imprenditori e uomini politici che spesso hanno potuto orientare le strategie di governo del paese.

Un libro molto utile, per capire tutto questo, è Ucraina. Insorgere per la democrazia, pubblicato nel 2014 da La Scuola Editrice. Il concetto è lo stesso di un dado da brodo: 90 pagine per percorrere a gran velocità tutta la storia dell’Ucraina degli ultimi tre secoli, soffermandosi poi, sempre in modo condensatissimo, sul presente del paese.  La cosa divertente è che alcune delle cose che racconta quel libro, Cristiano Lucarelli le ha viste con i propri occhi quando ha giocato per cinque mesi nel Shakhtar Donetsk. E l’anno scorso le ha dette al Tirreno in un’intervista. Ha parlato per esempio del presidente della squadra, Rinat Akhmetov, che è anche uno degli attori principali nelle crisi recenti della democrazia ucraina. Ha parlato della tensione che si sentiva nell’aria, in un paese diviso fra la possibilità di diventare un membro dell’Unione Europea e quella di restare nella catena delle alleanze strutturate intorno alla Russia.

Quella tensione segna un punto fondamentale per capire l’Ucraina di oggi e il libro ci cui parliamo ne fornisce in dettaglio tutti gli elementi. Per chi volesse leggerlo, mi limito a una panoramica minima. L’Ucraina è un paese segnato da una cicatrice enorme, che risale all’inverno fra il 1932 e il 1933. Il “Holomodor” cioè “lo sterminio attraverso la carestia” (p. 17) è il nome che oggi identifica le requisizioni forzate dei raccolti ucraini su direttiva di Mosca, requisizioni che in quell’inverno fecero morire di fame 5 milioni di contadini. La fine dell’URSS ha portato all’Ucraina altri guai. Siamo nei primissimi anni Novanta e al governo del paese, nella nuova veste democratica, sale Leonid Kučma, industriale e membro della vecchia nomenklatura sovietica. La sua strategia politica riflette le condizioni dell’Ucraina al tempo: “la corruzione era diretta, emanata e compensata dal Parlamento, dove gli oligarchi si spartivano cariche e poteri” (p. 35) .. “sotto il governo Kučma furono assassinati almeno 18 giornalisti” (p.36) .. “visto il crollo degli stipendi statali ognuno cercava di arrotondare concedendo bustarelle quanto poteva. Si poteva acquistare di tutto, dal superamento di un esame universitario alla concessione per costruire un chiosco, dal ritiro di una multa alla precedenza per un’operazione chirurgica (p. 33)… “nonostante le fabbriche smettessero di produrre i lavoratori non venivano licenziati, perché non perdessero i privilegi associati al loro status, come la mensa e gli asili aziendali: gli operai sopportavano un salario da fame, spesso pagato molto in ritardo, a patto di poter usare le strutture dell’azienda per il loro lavoro autonomo in nero (p.32)”. Questi sono gli anni delle grandi ondate migratorie, delle donne che si muovono verso l’Europa per cercare lavoro, e sono destinate a un trattamento già molto diverso di quello che sette o otto anni prima aveva riguardato i bimbi ucraini esposti alle radiazioni della centrale nucleare esplosa, i “profughi di Černobyl”.

L’eredità di Kučma passa a un altro assoluto protagonista della situazione politica dal 2004 in poi: Viktor Janukovyč. Indovinate a chi, Viktor Janukovyč, nato in un villaggio della regione di Donec’k da una famiglia non ricca, doveva la sua ascesa politica e una travolgente carriera da imprenditore? Al presidente della squadra in cui giocava Lucarelli, Rinat Akhmetov (p. 43). Da un certo momento in poi, dunque, il disordine e l’anarchia seguite al crollo dell’URSS si riorganizzano in una contesa ben precisa: c’è una parte dell’Ucraina che vuole entrare in Europa. E’ fatta di quelli della rivoluzione arancione (p.50) e dell’Euromaidan (p. 74). E’ fatta di quelli che chiedono una democrazia vera, la fine di alcune atrocità come gli assassini politici, la censura, la corruzione. E’ la parte di quelli che con grande fatica, dopo aver indotto Janukovyč alla fuga nel febbraio 2014, cercano di formare un governo stabile e in equilibrio. Non so se fanno un lavoro onesto o se esprimono davvero la volontà del paese. Resta che è sicuramente più difficile simpatizzare con l’altra parte dell’Ucraina: quella dove tre regioni, (fra cui la regione di Donec’k) si sono dichiarate Repubbliche popolari indipendenti per rientrare nella sfera d’influenza di Putin. Quella che organizza bande armate con amiconi filonazisti e antisemiti e si barrica nel palazzo dei sindacati di Odessa, quella che saluta la sospensione dell’erogazione di gas russo all’Ucraina come un segno di forza legittimo e glorioso. Quella, peraltro, dove si è guardata come una gran mossa l’invasione russa della Crimea (p.83).

Se già non vi ricordate più dov’è la Crimea e cosa ci è successo un anno fa, e se capite che tutte queste cose possono fare la differenza, quando per rispettare i nuovi livornesi ucraini bisogna conoscere la loro storia, leggete il libro.

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