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Sulla Grecia, giocare in attacco

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Nonostante il referendum greco si sia concluso da 24 ore, ci siamo tutti già dovuti sorbire un’orgia selvaggia di riflessioni, dichiarazioni e affermazioni da parte di chiunque: esattamente come la permanenza della nazionale azzurra ai Mondiali ingrossa man mano le fila degli aspiranti C.T., la rilevanza dell’evento ellenico ha fatto fiorire una gran quantità di economisti, esperti di politiche europee, consumati esperti di storia greca. Voglio rassicurare che non andrò ad ingrossare questa nutrita schiera: in pieno accordo con lo stile del blog, la butterò in politica.

Cercando di analizzare quello che è accaduto, provo a fare chiarezza. La vittoria di Tsipras, democraticamente eletto alle elezioni greche pochi mesi fa con il 35% dei votanti, è stato frutto della volontà di un cambiamento che la società greca sentiva forte: per farla breve il messaggio è stato “tutti gli altri ci hanno talmente deluso e li conosciamo talmente bene che ora scegliamo te che non ci hai ancora deluso e che non ti conosciamo”. Per altro la campagna elettorale di Syriza è stata caratterizzata da una fortissima componente populistica, condita di promesse e intenti verso l’Unione europea difficilmente realizzabili e il tentativo di darne seguito non ha certamente fatto gioire i creditori della Grecia.

Ecco appunto, i creditori: ma come ha fatto la Grecia a contrarre questo debito? Toglietevi dalla mente l’idea che qualcuno (BCE, Fondo Monetario Internazionale, Germania…) sia andato a prestare i soldi a strozzo agli ellenici. La Grecia che è entrata nell’Europa era una nazione abituata a vacche (o capre, fate voi) grassissime e spendeva di gran lunga di più di quello che incassava, concentrando la spesa in moltissime spesi correnti e pochissimi investimenti. Facendola breve, il tessuto della nazione ellenica era caratterizzato da una scarsa produzione manifatturiera e industriale e basato su portualità, pastorizia e turismo con problemi cronici che si chiamavano evasione fiscale, inefficienza della pubblica amministrazione, immobilità del mercato del lavoro (consiglio la lettura di questa simpatica carrellata delle elargizioni dello stato greco ai propri cittadini). Ed entrando in Europa tali problemi non sono mutati, ma è venuta meno la possibilità di decidere autonomamente su come comportarsi rispetto al proprio debito: nel momento in cui gli è stato richiesto di non contrarre più debito la Grecia è stata colpevolmente incapace di reagire tempestivamente (l’Euro c’è ormai da qualche anno), i mercati non hanno più comprato il suo debito e si sono dovuti far prestare i soldi da Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE.

Tsipras ha sostanzialmente detto ai creditori “Si si, avete ragione voi: ma per cambiare ci vuole tempo, la nazione è debole e siamo messi male, dovete ammorbidire il pagamento del debito e ci dovete dare tempo. Ah, e siccome siamo ancora al verde, ci dovete prestare altri soldi”. A quel punto i creditori (che non sono altro che Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea, Commissione Europea e Consiglio Europeo) hanno risposto che di fronte ad una nuova richiesta di prestito, sulla bilancia dovevano essere inserite richieste profonde che rendessero la Grecia credibile e soggetta a riforme serie. E dopo molte trattative le proposte dei creditori sono state giudicate irricevibili dal premier greco e dal ministro Varoufakis, che si è dimesso con l’unico (de)merito di aver rifiutato sempre e comunque qualsiasi accordo che non fosse alle proprie condizioni.

E qui arriviamo al referendum di 24 ore fa: dopo aver rifiutato il primo pacchetto offerto dai creditori, Tsipras lo ha messo in votazione al suo popolo. Un popolo disperato che piange davanti agli sportelli chiusi delle banche, ridotto a vivere con 10 euro al giorno da una gestione scellerata della vicenda che non è stata arginata quando le condizioni lo permettevano a costi notevolmente minori, un popolo che per il 30% non ha possibilità di accedere a cure, un popolo che ha più della metà dei propri giovani disoccupati e che ha visto aumentare di 6 volte i casi di depressione clinica negli ultimi 5 anni. Un popolo che in questo momento non ha neanche la lucidità di analizzare una situazione dove la paura è tanta. Quel popolo non ha votato “NO” al quesito proposto sulle schede: quel popolo ci ha detto che vuole sopravvivere e possibilmente farlo stando in un’Europa che sia diversa.

Glisso sulla bontà dell’operazione politica del referendum: se nel resto dell’europa se ne fosse svolto uno simile in cui si diceva “Vuoi che la Grecia ti restituisca i soldi che gli hai prestato invece che utilizzarli per fare andare un greco in pensione 10 anni prima di te?” Immagino che avrebbe trionfato un “SI” abbastanza netto.

Sta di fatto che l’esito del referendum rischia di essere un’arma a doppio taglio per Tsipras: i greci hanno detto inconfutabilmente “NO” al primo pacchetto proposto. Il secondo, quello offerto qualche giorno dopo con il referendum già indetto, non è stato neanche preso in considerazione dai greci e per i creditori è oramai scaduto: dunque, da quali basi intende ripartire il Premier greco? In questo terreno a dir poco scivoloso si inserisce anche l’occhio vigile dei fratelli spagnoli, irlandesi, portoghesi e italiani: loro i sacrifici e le misure impopolari le hanno prese e a tempo debito, e adesso stanno faticosamente tirando su la testa. Perchè dovrebbero aver piacere nel concedere alla Grecia sconti sul debito o facilitazioni eccezionali? Adesso possono succedere tante cose, ma tutte saranno diretta derivazione da due visioni diverse dell’Europa. Che può essere la casa di quella comunità che ha deciso finalmente di unirsi abbandonando centinaia di anni di guerre e divisioni oppure un’area geografica con una moneta unica al fine di favorire scambi commerciali.

Se prevarrà la prima ipotesi la Grecia non potrà non fare parte di questa unione per ragioni storiche, geopolitiche e di radici della nostra civiltà: e allora non esiste debito che non possa essere reso sostenibile (spalmandolo o modulandolo in qualche maniera…) di fronte ad una realizzazione della Unità Europea che è destinata a portare un vantaggio, in termini economici e non, ben maggiore delle risorse che la Grecia deve restituire ai creditori. E’ lo scenario al quale aspiro, ma ho l’impressione che non sia la prosecuzione dello scenario politico attuale: occorrerebbe un’inversione di rotta, occorrerebbe che le Repubbliche del Mediterraneo si rendessero conto di avere una responsabilità storica che non può realizzarsi nell’assecondare il rigorismo della Cancelliera Merkel e dei tecnocrati europei. Per Renzi, Hollande, Rajoy, che da soli rappresentano 180 dei 500 mila europei, è giunto a mio avviso il momento di sentire la responsabilità di compiere un gesto per mutare l’inerzia della situazione, tornare protagonisti nell’agone europeo applicando un’energia diversa e contraria a quella che tira oggi la carretta europea con un duplice obbiettivo: dare speranza e nuova vita alla Grecia senza concedere sconti che altri paesi non hanno beneficiato e pitturare nuovamente di colori sgargianti l’idea e il sogno dell’Europa Unita che ormai è entrata nelle coscienze dei propri abitanti. L’Europa delle genti e non dei denari, l’europa della crescita nel quale c’è un rigore virtuoso e non quella del rigore cieco.

Se perderemo questa ultima occasion è facile prevedere che ci sarà il disastro umanitario in Grecia, pericolo per la coesione europea con un sostanziale dissolvimento della credibilità delle istituzioni europee e soprattutto rischi fortissimi di instabilità geopolitica.

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