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Hannah Arendt

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Oggi, in occasione della Giornata della Memoria, vi proponiamo una recensione di un film sull’olocausto. Per questa recensione ospitiamo l’articolo di Donatella Nesti che ci presenta il film e la sua regista.

Hannah Arendt 
di Donatella Nesti 

Nel desolante panorama delle trasmissioni televisive dove imperano le solite facce e gare di fantasiose ed improbabili delizie culinarie occorre aspettare le giornate–evento per poter vedere e rivedere pellicole importanti come accadrà nella settimana dedicata alla memoria della shoah. Ottima iniziativa quella di Rai 3 con la proiezione del film di Margarethe Von Trotta “Hannah Arendt” giovedi 29 alle 21. Il film dedicato alla grande filosofa, storica e scrittrice tedesca emigrata negli States, racconta un episodio cruciale della sua vita quello in cui Hannah Arendt fu testimone e cronista d’eccezione a Gerusalemme, al processo per crimini contro l’umanità ad Adolf Eichmann, l’ingegnere dell’Olocausto.

La Von Trotta ha vissuto a lungo in Italia dove ha raccolto consensi e premi come il Leone d’Oro conquistato a Venezia nel 1981 con “Anni di Piombo” ed è molto attenta alle figure femminili come risulta dalla sua ricca filmografia che comprende pellicole come Rosa L., Vision, Rosenstrasse, Lucida Follia e per questo “Hannah Arendt” si affida ancora una volta alla bravissima Barbara Sukowa nella parte della filosofa concentrata sull’analisi dei crimini nazisti elaborata da Arendt in La banalità del male. Arendt si era recata di persona a Gerusalemme, inviata dalla rivista The New Yorker per riferire del processo al criminale nazista Adolf Eichmann. Credeva di incontrare un mostro e invece si trova davanti una persona sana di mente, un grigio burocrate che aveva collaborato all’olocausto “senza pensarci”.  Adolf Eichmann, che aveva eseguito con precisione assoluta l’ordine hitleriano della “soluzione finale del problema ebraico”, si era nascosto come altri criminale nazisti in Argentina. Nel 1960 un commando dell’intelligence israeliano, giunto a Buenos Aires in modo rocambolesco lo sequestrò e lo portò in Israele. Al processo, le cui riprese restano memorabili (e in alcune parti compaiono anche nel film della von Trotta), Eichmann ammise, da freddo ingegnere privo d’emozioni, ogni colpa descrivendo qualsiasi minimo dettaglio, da come dovevano funzionare i forni alla quantità di gas Zyklone-B usata ogni volta. Fu condannato a morte e impiccato.

Parlando di come furono accolti  “La  banalità del male” e la sua autrice  Margarethe von Trotta, nella intervista al quotidiano Der Tagesspiegel, ricorda: «Molta gente a sinistra allora la schivò, la evitò, perché lei pronunciò verità scomode, già nel 1951 nel suo libro sul totalitarismo paragonò i crimini nazisti con quelli del comunismo sovietico, e a noi di sinistra ciò suonava sospetto. Ancora oggi, – continua von Trotta – ci sono persone che rifiutano il pensiero di Hannah Arendt perché analizzò entrambi i totalitarismi».La Arendt ebbe il coraggio inoltre di  chiamare in causa le responsabilità di alcuni capi ebraici, senza la cui attiva collaborazione, scrive, “le vittime sarebbero state sicuramente di meno”. Una tesi che scatenò una reazione violenta contro un’ebrea anch’essa perseguitata, internata in un campo di concentramento e costretta a fuggire  negli Stati Uniti.

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