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Quattro chiacchere con Matteo Lenzi de La Filarmonica Municipale LaCrisi, vincitori del Premio Ciampi

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Con Matteo Lenzi ci conosciamo da un po’, essendo coetanei e entrambi colligiani di nascita. Sono andato a trovarlo a casa sua a distanza di qualche settimana dal Premio Ciampi ( leggi l’articolo di Martina Caluri sull’argomento)  vinto dal gruppo del quale fa parte, la Filarmonica Municipale LaCrisi, e abbiamo scambiato quattro chiacchiere in tranquillità.

Partiamo dall’inizio. Quando sei entrato a far parte del gruppo?

Il gruppo nasce nel 2009 a Cascina. Alcuni elementi rimangono, altri se ne vanno, altri vengono buttati fuori. Nel 2013 entriamo io e Giulia, la sassofonista, che è anche la mia fidanzata. In quei mesi, abbiamo iniziato le registrazioni del disco “L’educazione artistica”, che è stato poi candidato al premio Tenco tra i primi 50 dischi dell’anno (premio che ha vinto Caparezza con il suo ultimo album; i Virginiana Miller hanno vinto per la categoria “singoli”, n.d.r.).

Possiamo dire che comunque hai partecipato alla fase “costitutiva” del gruppo. Prima non c’era granché di formato, giusto?

Si, c’era un qualcosa di obbrobrioso che stiamo cercando di oscurare (ride, n.d.r.). “L’educazione artistica” è uscito con Phonarchia Dischi – di Volterra – e ci ha fatto fare una sessantina di date in tutta Italia. Un disco molto cantautoriale, che nasce dal cantante che portava la sua voce in sala prove. E noi, lì, gli mettevamo il vestito, la musica. Io ho partecipato alla composizione ma anche all’arrangiamento del disco. Ora è un po’ in calo, sai dura tutto così poco…

Vabbè, adesso in seguito al Premio Ciampi ci sarà un rilancio, no?

Si. Il premio Ciampi lo abbiamo vinto con due dischi inediti, che andranno nel prossimo disco che è in fase di prima registrazione. Prodotti da Alessandro Fiori, un cantautore che suona con Betti Barsantini (ex Mariposa) e anche da solo: ti consiglio di ascoltarlo perché merita. Anche il modo con cui sta lavorando con noi è fantastico. Noi per questo nuovo disco abbiamo deciso di agire all’esatto opposto de “L’Educazione Artistica”. Siamo stati in sala prove a buttare giù qualsiasi cosa ci venisse in mente. Da sedicenni drogati abbiamo iniziato ad improvvisare: un giro di accordi, un motivo, ecc. lo sviluppavamo e lo mettevamo in loop. Quando li abbiamo fatti sentire tutti ad Alessandro per il primo giorno di registrazione è inziato questo riordino delle idee. Sta andando tutto così in maniera naturale che questo futuro disco ci sta emozionando tantissimo. Al punto che, con tutta questa emozione e vitalità, abbiamo vinto il Premio Ciampi con i primi due pezzi: “Mare di segatura” e “A mezzo metro”.

Quindi, prima la musica e poi la voce. La domanda che ci facciamo tutti è: viene prima il testo e poi la musica o viceversa? Ovvio che spesso dipende dal pezzo… ma qui?

Dei testi c’erano già; Pierfrancesco (Del Seppia, il cantante n.d.r.) aveva già alcuni spezzoni di brani strumentali…c’è stato poi un lavoro da parte sia nostra che di Alessandro. Il testo non è proprio organico, quanto piuttosto un’impressione: sembra un lavoro fatto come nei film, quando gli assassini mandano i messaggi alla polizia con i ritagli di giornale. Ho reso l’idea? “Mare di segatura” è l’eccezione. Però il lavoro nel suo complesso è un puzzle. Per l’emozione che ci mettiamo, per noi è quasi un primo disco.

In che genere vi collocate, voi, anche alla luce di questo nuovo lavoro? Qual è la direzione in cui state andando?

Difficile da dire. Ci è stato detto che nel nuovo disco si riescono a sentire degli elementi delle diverse decadi del novecento: sessanta, settanta, ottanta. Non c’è un genere solo. Forse Pop-Rock. Non Pop in sè, non commerciale ecco.

Quindi, a proposito di decadi facciamo questo gioco: dammi un nome per ogni gruppo dal quale avete preso qualcosa. Istintivamente, il primo che ti viene in mente. Anni sessanta?

Eh, un bel gioco davvero (ride, n.d.r.), difficile però. Per gli anni sessanta, parto con il primo disco di Frank Zappa. Spirito libero, genio, creatività e intelligenza fuse in una sola persona. Questo non per paragonarci a lui, ma quanto perché, in libertà, abbiamo preso e unito i vari contributi di ciascuno di noi. I ritagli di giornali che ti dicevo prima.

Settanta?

David Bowie, stessi motivi di Zappa. Ma ti do anche un italiano: Lucio Dalla.

Bravo! (gli stringo la mano, n.d.r.) Lucio Dalla anche per me è un mito, è uno di quei cantanti a cui sono legato dall’infanzia. Caruso, La casa in riva al mare. Mi dispiace che alcuni pezzi li abbia scoperti solo dopo quel tragico 3 marzo 2013.

Il mio disco preferito di Dalla è “Dalla”. Oddio, ce ne sono tanti di Dalla, ma io mi riferisco a quello che ha in copertina il cappello, occhiali, occhi. Quello che ha Balla Balla Ballerino, Cara. Quello è un disco meraviglioso, tutto scritto da Dalla. E ha una particolarità: non c’è un solo ritornello in tutto il disco. Nemmeno uno. Fantastico!

Andiamo avanti: ottanta?

Ti dico i Kraftwerk e i Talking Heads. Anche se ce ne sarebbero tanti. Kraftwerk perchè sono stati il primo gruppo in assoluto che hanno usato tanta elettronica. Anche noi ne abbiamo: abbiamo la drum machine, alla quale sta Luca Di Pietro, che te sai essere un chitarrista. Ma è entrato nella band in qualità di batterista e tastierista.

Novanta e poi finiamo?

Novanta, Beck e Daft Punk.

Pop ma anche un po’ di commerciale, no?

Beck e Daft Punk sono “iconici”, loro prendono delle cose – come i Daft Punk con l’ultimo disco Ram – delle icone degli anni settanta e le hanno schiaffate lì, giocandoci. Beck invece è capace di prendere una ciabatta (la indica, n.d.r.) e mettertela in un pezzo. Un non-sense assoluto. Non mi viene nessun’altro esempio, ma credo di aver reso l’idea.

Quando sarà l’uscito del prossimo disco?

Abbiamo una vaga idea delle tempistiche, ma credo Aprile 2015.

Parliamo di te. Nasci batterista, da bimbo ti hanno messo le bacchette in mano.

No, le ho pretese! (ride, n.d.r.)

Ecco. Comunque, nasci percussionista: batteria, xilofono, vibrafono, marimba. Poi ti perdo di vista qualche anno e ti ritrovo tastierista ad una Festa del Pd di qualche anno fa. Passi dall’accompagnamento alla melodia. Giusto?

Si. La motivazione principale, è che avevo voglia di alzarmi un po’ in piedi sul palco per ballare un po’. E poi perchè, un passaggio quasi spontaneo, comporre musica era naturale per me. Quando suonavo in un gruppo precedente, che saluto con affetto (gli Est Morgana, n.d.r.), ho iniziato a proporre melodia alle tastiere. Siamo 5 polistrumentisti nella Filarmonica, quindi gli scambi saranno frequenti. La batteria non l’ho mollata, ma sono andato alle tastiere per comodità e curiosità.

Seduti su questo divano, mi guardo intorno: vedo Totò, Beatles, Zappa e poi due quadri e il Che. Cosa c’entrano loro con te e con la Filarmonica?

Parto dai Beatles: la copertina di Sgt. Pepper’s, che oltre ad essere un disco meraviglioso è anche una copertina molto bella da vedere. L’incizione di Luca (Di Pietro) mi faceva impazzire. E’ astratta e appena me l’ha regalata l’ho subito incorniciata e appesa. Quell’altro è un altro quadro di Luca: l’ultima scena di Amarcord di Fellini, con il fisarmonicista e due persone che stanno andando via. Totò (scena con il megafoto, “vota Antonio”, n.d.r.), eh, Totò, mi piace perchè mi ricorda qualcosa. Ha un viso conosciuto. E’ come topolino, quella faccia che ci appartiene. Zappa perchè è il mio idolo.

Quindi, l’idolo è lui, Zappa.

Per la musica straniera… non te lo so dire. Ci sarebbe anche la musica classica. Mi sento molto vicino a Debussy, a John Cage. Ma per tornare al Pop, oltre a Zappa, c’è anche Brian Eno, produttore dei Coldplay, ma ha fatto anche altre cose meravigliose: musica Protopunk. Di italiani, Lucio Dalla.

E Che Guevara, cosa ti ricorda?

Mi ricorda che al mondo esistono gli stronzi e che dovremmo riprendercelo con il cervello, il mondo. Anche se lui ad un certo punto ha utilizzato le armi.

Ultima domanda: una passione che non c’entra niente con la musica.

Deh, il calcio!

Interista?

No, milanista.

Come me! Tempi bui eh…

Eh si. Sono affezionato a questi colori, anche se lo seguo con un po’ più di distacco. Ma quando apro la Gazzetta, sento che quei colori mi appartengono e mi dispiace che non abbia un progetto. Comunque, io il martedì sera gioco sempre a calcetto e saluto i miei compagni (ride, n.d.r.)

Visto che parliamo di compagni, cosa ne pensi di questa fase italiana della sinistra? Credi che si sia intrapreso la strada giusta? Renzi sì o Renzi no?

La politica la seguo, ma cerco di non allargarmi troppo nei giudizi. Mi rendo conto che non sono ferrato e non riesco a seguire tutto il dibattito nazionale. Ho deciso di affrontare la mia politica senza aderire a partiti, movimenti, etc. Il mio pensiero è di sinistra, anzi anarchico, forse. Dovremmo parlare della stupidità: a livello generale c’è molta confusione. Quello che noto è che non esistono dibattiti, ci sono esponenti che restano sulle loro posizioni, senza magari cercare un dialogo. Hanno le loro idee e non si confrontano. Non sono liberi, sono pieni di pregiudizi.

Che intervento vorresti che facesse la politica nel campo musicale?

L’educazione musicale nelle scuole. Nel 1988, l’anno in cui sono nato io, c’è stato il Processo di Bologna, in cui si stabilì che si tracciavano linee comuni nell’insegnamento. Tutti hanno creato i licei musicali, noi ci stiamo svegliando adesso, nonostante il processo sia partito dall’Italia. Vorrei sapere chi c’era di italiani quel giorno a Bologna. Poi, parlando di altro, io abolieri i diritti d’autore. A meno che tu non sia Biagio Antonacci o Gino Paoli, i costi sono troppo alti rispetto a quanto si ricavi. Non è una forma di sostentamento per chi fa musica. Forse per Lou Colombo con Maracaibo, ma per gli altri no. Bisognerebbe poi ragionare sull’incentivo alla musica dal vivo, senza spaventare chi prova a farlo. Incoraggiare queste persone che mettono a disposizione i propri locali per i live. Fanno cultura e dobbiamo aiutarli.

Nei prossimi mesi siete a giro per l’Italia. Quando ritornerete a Livorno?

Noi in realtà non siamo livornesi: siamo due cascinesi, due colligiani e una livornese, ma le prove le facciamo a Livorno. Anno nuovo vedremo, ma credo che ci fermeremo per le registrazioni. Abbiamo partecipato ad una sezione, Arte, al Premio Ciampi. L’anno scorso hanno vinto due svizzeri che hanno creato un almanacco musicale (LP Collection) dove recensivano dischi di gruppi mai esistiti. Hanno scelto un disco di un artista che si chiama Scotti Paul (inventato, n.d.r.) e hanno chiamato dieci gruppi ad interpretare dieci brani. E uno, My Motoguzzi, è nostro e l’ho scritto io.

Ultima domanda, che doveva essere in realtà la prima. Da dove viene il nome Filarmonica Municipale LaCrisi? A me, personalmente, viene in mente la musica classica, ma radicata sul territorio. Con La Crisi, però, che caratterizza questi anni.

In realtà non ho partecipato alla genesi nel nome. Però, Filarmonica perché i componenti che fondarono la band, appartenevano ad una banda di paese. Municipale è collegato al primo termine, appunto, e LaCrisi – tuttoattaccato – perché all’epoca era una parola abbastanza Pop. E purtoppo lo è anche ora, in effetti.

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