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Dieci libri per apparire sapienti di politica. Puntata 10: La politica per la casa

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Apparire sapienti su cosa pensa il nemico

Secondo voi il diritto a un’abitazione “decente” deve fare parte dei diritti di un cittadino? Sì? No?E cosa si intende esattamente? L’idea di abitazione “decente” è una citazione da La politica per la casa, di Anna Minelli, Il Mulino, 2004, e questo è l’argomento con cui si chiude questo decalogo di letture politiche.

Diamo subito la risposta alla domanda del titolo: in termini di politiche sulla casa, il nemico pensa di volta in volta quello che conviene a una determinata fazione. Questo perché purtroppo la storia delle scelte amministrative italiane sull’edilizia pubblica si snoda dentro l’epopea politica del paese degli ultimi quarantacinque anni. Su cosa pensa il nemico a Livorno, in termini di scelte politiche sulla casa, spero che potrete provare a farvi un’opinione vostra leggendo queste note e il bel libro di Minelli.

Bene. Ci sono una serie di biblioteche livornesi. Qui ci sono gli ultimi documenti, risalenti agli anni Settanta, su una storia gloriosa e un po’ triste. La storia dell’edilizia popolare in città. Era il 1902 e Livorno accoglieva il manifesto programmatico del ministro Luzzati: (abbiate pazienza ma è troppo bello)

“popolo per noi sono i proletari, i quali vivono di magri salari in quartieri luridi e tetre mude, che si devono trasformare, risanare, abbattere; ma popolo per noi è anche l’artigiano indipendente che sta poco meglio di questi coloni, i piccoli proprietari rurali, i piccoli fabbricanti, è popolo l’infelice impiegato civile, l’infelice impiegato della pubblica amministrazione. Ed è popolo l’operaio del pensiero che fatica più volte assai peggio di quello che del proprio lavoro vive, comincia con il maestro di scuola per passare all’insegnante mal retribuito delle scuole secondarie e finisce anche in regioni più alte allo scrittore di giornale. (..) Ora qui voi avete diverse gradazioni di povertà e il progetto di legge che vi presentiamo non è sistematico, non imprigiona in una sola forma la costruzione di case popolari, appunto perché vuole tenere conto di tutte quelle sfumature di colori e bisogni”. Nasce a Livorno l’Istituto Case Popolari. I risultati fra il 1905 e il 1943 sono impressionanti. Viene edificato un quartiere su Viale Carducci – case popolari tutte dotate dell’avanguardistico “water closed” – che accoglie 276 famiglie. Poi il gruppo di Via Corsica, quello di Via di Salviano, un ulteriore quartiere attorno a Via Ricci, all’Ardenza. Avanti, e spunta tutta l’area dell’ex barriera Garibaldi, di via Filzi, e ancora quella attorno alla Stazione Centrale.  Case popolari. Case dove l’affitto viene valutato distinguendo fra piano terra e ultimo da una parte, e primo e secondo piano dall’altra, con prezzi differenziati ulteriormente fra primo e secondo. Ancora Via del Vigna, Via Orlando, Via San Carlo, e poi un enorme edificio per il dopolavoro a Montenero. Tutto cambia nel 1943, quando “il tragico turbine abbattutosi sull’umanità” costringe l’istituto a sospendere le sue attività.

Ma anche la fase della ricostruzione è importante. Si recuperano le forze. Una parte delle grandi opere realizzate è stata raso al suolo. La si ricostruisce. Un’altra parte è quasi distrutta. Parte il restauro. E si mette in piano anche un’altra serie di nuove edificazioni. Queste danno il senso preciso di cosa sia il livornese: infatti, oltre che in città, si costruisce a Cecina, Collesalvetti, Crocino, Guasticce, Piombino, Stagno, Suvereto, Vicarello, Piombino, Gabbro, Nugola, Elba, Venturina, Vicarello. Le regole sulle nuove case della ricostruzione esprimono con termini moderni le bellissime parole del ministro Luzzati del 1903: oltre a una “progredita edilizia”, bisogna pensare al benessere psicologico degli inquilini, per elevare il tono di vita delle

classi lavoratrici. Non ci deve essere affollamento, lo sguardo da un edificio all’altro deve poter spaziare. L’unità abitativa di Colline, e poi quella di Sorgenti e di Coteto, nascono “per fondare una nuova vita sociale” dove il buon vicinato, l’accesso ai servizi, l’inserimento in città e la buona realizzazione di strutture ricreative possano essere valutate proprio dagli inquilini. Si raccomanda infatti di interrogare sempre questi nuovi abitanti, perché dicano le loro impressioni e segnalino le specifiche questioni.

Ora, non vi dico da dove vengono questi dati. Qualcuno potrebbe davvero andare in una biblioteca a informarsi. Io dico solo che se la bibliotecaria dell’emeroteca di Villa Fabbricotti a 12 anni invece dei Piccoli Brividi mi avesse dato questa roba probabilmente oggi farei il geometra con una passione incontenibile. Purtroppo queste bellissime lezioni di urbanistica sociale si interrompono negli anni Settanta. Non c’è più niente. L’istituto scompare. Con lui scompare un discorso sul mondo, sui bisogni di chi in una città è il cittadino che ha più bisogno.

Per il seguito, appunto, c’è il libro della Minelli. L’argomento è lo stesso che finora abbiamo preso il più dall’alto possibile, ma il taglio non è storico, ma già critico. Minelli studia una cosa grave – quella per la quale se tutti hanno bisogno di una casa e se contribuire a questo bisogno è uno dei compiti principali di qualunque sistema di istituzioni pubblico, gli ultimi quarant’anni sono lo sfondo di una costellazione di scelte, interessi e procedure su come farlo, che hanno versanti drammatici paese per paese. Occupandosi solo dell’Unione Europea, si scopre subito che le questioni italiane non sono le sole. L’Europa non riesce a uniformare uno degli ambiti più variegati delle varie sovranità nazionali (p. 49). In Gran Bretagna, dagli anni Settanta, i conservatori danno contro ai laburisti sull’edilizia popolare in affitto, e lamentando i costi di manutenzione delle case per lo stato e il ‘potere contrattuale’ dei governi locali coinvolti in queste scelte, puntano sulla proprietà e favoriscono la classe medio bassa degli aspiranti piccoli proprietari (p. 82). (nota dell’autrice: Ricordate Berlusconi e la questione dell’imposta IMU?). In Francia, negli anni Novanta, dopo un decreto che rilanciava l’edilizia popolare pubblica di vasta scala, nelle grandi città interessate si formano grandi comitati di cittadini che protestano violentemente contro il dover convivere con gli inquilini disagiati delle case popolari (p.70). In Italia scelte e forme di organizzazione diversissime, zona per zona, degli Istituti per le case popolari, unite a politiche di drenaggio di credito da parte dello stato che hanno impattato fortemente sugli interessi dei proprietari di case in affitto, (p.112) hanno fatto sì che dei tre paesi il nostro sia quello che risponde peggio ai bisogni della popolazione con meno disponibilità. Questo negli anni Settanta, Ottanta, Novanta e a tutt’oggi. Allora proviamo ad andare oltre queste poche note generali, guardando per prima cosa a come funzioni il raggio degli interventi pubblici possibili.

Il primo livello, in termini di chi può fare qualcosa, è quello comunale. A Livorno oggi esiste la CASALP, società per azioni posseduta per intero dai 20 comuni della provincia di Livorno, a cui vanno tutti i compiti di gestione dell’edilizia pubblica. Chi ottiene una casa popolare si deve rivolgere a Casalp per il contratto di affitto, così come la società si occupa di determinare il canone e di verificare che questa decisione dipenda dalle condizioni costanti di bisogno di chi vive nella casa assegnata. Casalp mantiene le case popolari, sia per gli interventi straordinari (si rompe la caldaia) che per quelli di ristrutturazione e riasseganzione. Ma Casalp non fa mica il bello e il cattivo tempo da sola. Infatti c’è il peso delle decisioni comunali – dal piano regolatore alla graduatoria di assegnazione delle case popolari e a quella degli sfratti; poi c’è l’associazione dei Comuni (ANCI), una specie di coordinamento regionale che cerca di mediare fra i bisogni di ogni città e quello che può essere ottenuto dalle politiche di distribuzione dei fondi nazionali. Arriviamo al livello della regione: nel nostro caso si sta probabilmente per verificare una discreta rivoluzione amministrativa (http://www.firenzetoday.it/economia/case-popolari-toscana-modifica-legge.html), basata sulla revisione dei requisiti di ingresso nelle graduatorie di assegnazione e sull’uso dell’invenduto privato per ottenere nuove case a disposizione. Qui, cari miei, siamo già al dito nella piaga. La regione ‘intelligente’, la regione ‘nemica’. Cosa ne pensate delle case popolari mantenute per tre generazioni, assegnate ai nonni pescatori ed ereditate dai nipoti con la casa al mare? Probabilmente qualcuno che sta leggendo si trova in una condizione come questa o conosce una famiglia che ha la casa al mare ma vive in un appartamento a canone sociale. Per molti, è assurdo concepire che quello che si sono abituati ad avere, domani gli può essere tolto, costringendoli a riscattarlo o rassegnarsi al confronto con mercato privato. Ma il nemico è anche chi questi appartamenti li lascia ai nipoti con la casa al mare (Casalp, Comune, Anci e Regione tutti insieme), intasando le graduatorie di assegnazione e ammiccando alla possibilità di costruire ancora – la vecchia droga del mattone che riempie le casse comunali e regionali.

Non è più semplice parlare di demagogia elettorale sul blocco degli sfratti. In questo senso posso fare uno sforzo e capire i proprietari: se vengo licenziato e credevo di tirare a campare con l’affitto di un appartamento, nel momento in cui chi lo abita smette di pagarmi, io e lui siamo praticamente nella stessa situazione. Io ci devo pagare anche le tasse, sull’appartamento con cui non posso più tirare a campare. Se una linea politica comunale, regionale o nazionale per imbonire gli elettori fa piovere ‘soluzioni palliative’ a questioni come quelle sulla casa, nove su dieci apre a una guerra fra poveri. E io voglio arrivare a parlarne senza mezzi termini. Ma prima, secondo dito nella piaga: le normative statali. Il piano casa del Governo Renzi di questo marzo sembra descritto da una frasina quasi buttata lì di Minelli, che osservando quanto ‘affollato’ sia lo scenario degli interessi in gioco attorno all’edilizia pubblica, nota: “la classe politica sembra essersi preoccupata principalmente di raggiungere un equilibrio interno ai partiti, senza badare agli effetti che sarebbero derivati dalle misure adottate”(p.201). Mi ricorderò a lungo quattro cose in particolare: primo, che peso hanno le società immobiliari e quelle dei costruttori? Perché Minelli spiega che proprio il fatto che siano attori di queste politiche sempre in ombra, mai considerati in modo esplicito, è il segno di un peso che invece c’è eccome, e che appunto è quello su cui regna la deregolazione assoluta (p. 192); secondo, è possibile che la tassazione tanto mortale sulle proprietà immobiliari dipenda dal fatto che in un paese in cui tutti evadono la casa sia uno dei pochissimi beni davvero tracciabili? (p.121); terzo: com’è possibile che l’osservatorio nazionale sulla condizione abitativa, il SUNIA, ogni tre mesi trovi sempre il 55 per cento dei destinatari legittimi del fondo sociale che non sa che avrebbe diritto ad accedervi? (p. 120); quarto: non è surreale che i bandi di appalto di costruzione delle case popolari spesso siano andati deserti, perché le regole e i tempi mettevano in fuga i costruttori verso il privato?(p. 151).

Disinformazione, illegalità, ipocrito rifiuto di valutare le conseguenze dell’imposizione fiscale, noncuranza, mancanza di contatto con i problemi reali: questa è l’edilizia pubblica degli ultimi quarant’anni e non c’è un governo virtuoso da nessuna parte. A Livorno va esattamente in questo modo. Allora faccio un appunto alle molte buone forze che si stanno risvegliando in questo periodo e che ringrazio, da cittadina, per stare provando a riorganizzare davvero le soluzioni dei problemi. Rispettiamo la gente: informandola se non vuole, obbligandola a informarsi, a sapere, a chiedere; evitiamo divisioni fra partiti – come si può  fare una distinzione fra M5S, Buongiorno Livorno o PD, in termini di case dei livornesi? – e infine non raccontiamo storie per bambini, come quella dell’uso provvisorio di case destinate alla demolizione.

Il decalogo è finito con questa lunga prova a interessarvi.

 

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