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La Costituzione, lo Statuto dei Lavoratori ed il “diritto” di licenziare. L’intervento di Federico Mirabelli

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Federico Mirabelli, operaio metalmeccanico e Consigliere Provinciale, risponde al mio intervento di qualche giorno fa sull’articolo 18. Condivido alcuni punti ma non tutti, ad es: con le “riforme” prima di Maroni e poi della Fornero, (che riforme non sono state, in quanto non prevedevano un’armonizzazione completa ed organica del mercato del lavoro, degli investimenti pubblico/privati e del riordino del welfare) l’occupazione è vero, non è aumentata, ma proprio per il loro essere riforme “a metà” (o all’Italiana); inoltre, è vero, la spesa per i centri per l’impiego è diminuita, in termini assoluti, ma il vero problema è come quei soldi vengono spesi, non quanti (se la ricchezza di una nazione fosse data dall’ammontare della spesa pubblica, l’Italia avrebbe le strade lastricate d’oro): è vero Grecia e Irlanda, insieme a noi hanno diminuito la spesa per i servizi per l’impiego, ma a differenza nostra, hanno ripreso a crescere.
Detto questo, ringrazio Federico per l’attenzione che ha dedicato al mio articolo e pubblico il suo intervento qui di seguito.

La Costituzione, lo Statuto dei Lavoratori ed il “diritto” di licenziare.

di Federico Mirabelli

“Nella Costituzione italiana, sia nei principi fondamentali che nella prima parte, dove si trattano i diritti e i doveri dei cittadini anche nei rapporti economici, non c’è nessun riferimento al diritto di licenziare richiamato di recente dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Nella Costituzione e in particolare negli articoli 1-4-35 si consegna al lavoro, inteso nelle sue diverse espressioni, un valore sociale attraverso il quale contribuiamo al progresso della nostra società e viene pertanto riconosciuto come un diritto fondamentale da tutelare e promuovere.

Il licenziamento in quanto tale non e’ riconosciuto come un diritto e pertanto non è equiparabile al diritto al lavoro.

È bensì una fattispecie giuridica da regolare attraverso le leggi. Leggi peraltro gia’ presenti nella legislazione italiana che consentono ad un imprenditore di licenziare un proprio dipendente in presenza di una giusta causa o giustificato motivo.

Il licenziamento a mio parere dovrebbe essere considerato una extrema ratio, soprattutto nelle crisi aziendali, dopo un sapiente utilizzo degli ammortizzatori sociali e una proposta di piano industriale.

Sulle riforme del mercato del lavoro è utile aprire una riflessione di carattere generale. Tali misure intervengono sull’offerta di lavoro ma non stimolano la domanda di lavoro.

Nei fatti le riforme del mercato del lavoro non generano automaticamente occupazione.

Ad esempio l’occupazione non è cresciuta dopo le riforme del Ministro Maroni nel 2003 e della Ministra Fornero nel 2012.

L’occupazione invece cresce in presenza di politiche redistributive e di sviluppo; in tale contesto una buona riforma del lavoro può essere una infrastruttura strategica per sostenere la crescita economica e sociale. Questo per dare il giusto valore e calibrare le aspettative attorno il Jobs Act.

Il Governo Renzi con il Jobs Act intende riformare il mercato del lavoro. Le linee essenziali della riforma sono contenute nel disegno di legge delega che tratta il riordino degli ammortizzatori sociali, dei servizi per l’impiego, delle forme contrattuali, delle procedure e degli adempimenti e infine dell’istituto della maternità e sulla conciliazione.

I quattro punti riguardanti gli ammortizzatori sociali, l’istituto della maternità, le procedure burocratiche e sui servizi per l’impiego, anche se scritti in modo estremamente generico, sono condivisibili. In linea di principio com’e’ possibile schierarsi contro l’ipotesi di estensione delle tutele sociali o al potenziamento dei servizi per l’impiego!

Alcune osservazioni possono essere avanzate invece sulla copertura finanziaria dei capitoli di spesa. L’unico dubbio e’ che le risorse a disposizione potrebbero essere inferiori alla possibile platea di beneficiari. Nuove risorse pubbliche invece sono indispensabili per potenziare i servizi per l’impiego. L’Italia è uno dei paesi, insieme alI’Irlanda e la Grecia, che ha diminuito la spesa pubblica su questo settore dall’inizio della crisi. Questo dato trova conferma nel rapporto decisamente alto tra gli adetti ai servizi per l’impiego e i disoccupati che in Italia si attesta 1 a 354 mentre in Inghilterra e’ 1 a 24, in Germania e’ 1 a 49 e in Francia 1 a 70.
Il punto più dibattuto del Jobs Act è quello che tratta il riordino delle forme contrattuali sia per l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che per gli emendamenti promossi dal Governo stesso che introducono il tema del demansionamento, dei controlli a distanza e in ultimo sui licenziamenti.

Sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, prima di esprimere un giudizio complessivo, è necessario comprendere il livello delle tutele collegate al contratto e i meccanismi di maturazione di queste ultime. Infine è determinante capire quante tipologie di contratti atipici saranno aboliti.

Sugli emendamenti presentati dal Governo Renzi sulle materie del demansionamento e dei controlli a distanza è indispensabile fare degli approfondimenti. Questi emendamenti sono generici e non indicano gli obiettivi del Governo ma se considerati insieme all’emendamento che verrà presentato sull’articolo 18 si evidenzia la volontà da parte del Governo di cambiare lo Statuto dei Lavoratori.

Sullo Statuto dei Lavoratori è opportuno quindi aprire un confronto con le parti sociali, senza procedere con atti unilaterali, al fine di attualizzarlo e cambiarlo non contro i lavoratori ma con i lavoratori.

A sostegno del superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sono state avanzate delle tesi prive di fondamenta e scollegate dalla realtà. L’articolo 18 è un tema marginale e le vere priorità per attrarre nuove imprese e per dare un nuovo slancio alla competitività del sistema paese sono invece gli investimenti nella formazione, nelle infrastrutture, nelle politiche industriali, nella ricerca e innovazione, il contrasto della burocrazia e della corruzione.

Il reintegro nel luogo di lavoro di un lavoratore licenziato senza una giusta causa, previa sentenza di un giudice, è un elemento di civiltà che contraddistingue il nostro Paese. L’abrogazione del reintegro e della possibilità di rivolgersi ad un giudice terzo, anche solamente per i licenziamenti economici, lede invece la dignità e restringe la libertà di ogni lavoratore. Non si tratta di mantenere un automatismo giudiziario ma di dare la possibilità ad un lavoratore di vedersi riconoscere un proprio diritto leso.”

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