Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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From Hong Kong to Rome

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Dall’altra parte del mondo c’è chi protesta, in Italia c’è chi minaccia di farlo. Dall’altra parte del mondo una Regione, che a dire il vero è più uno Stato che una Regione, scende in piazza per rivendicare quelli che per noi sono diritti elementari, un’elezione libera; in Italia s’indice una protesta sindacale su una legge che non è stata ancora presentata.

Tendenzialmente sono contrario all’uso della piazza, risulta sempre difficile tramutare una manifestazione di protesta in una qualsiasi forma di proposta, ma nel caso della regione amministrativa speciale di Hong Kong faccio un’eccezione; là non si protesta contro qualcosa, si protesta per avere una libera elezione nel 2017 in quanto, ad oggi, il governo centrale cinese intente restringere il campo dei possibili governatori a 3 soggetti approvati da una commissione intenta del Partito. Là uno dei capi della protesta è un diciassettenne, Joshua Wong per l’esattezza, leader dei movimenti studenteschi, un diciassettenne che manifesta accanto ad un professore universitario, ad un lavoratore dipendente, ad un professionista, e ad ogni categoria di persone presenti nell’isola, manifesta una comunità.

E in Italia?

In partenza bisogna riconoscere che il paragone con Hong Kong può essere considerato troppo, ma quando per settimane vieni bombardato di notizie che inquadrano il prossimo autunno come quello in cui bisogna difendere con le unghie e con i denti i propri diritti, penso che l’analogia si possa fare.

Qua c’è chi si appresta a scendere in piazza il 25 ottobre con la CGIL per difendere l’articolo 18 dagli attacchi del governo (anche se la legge in parlamento non è ancora arrivata quindi mi chiedo quale sia il testo che il sindacato intende combattere, una contrapposizione aprioristica configura una una battaglia politica non una sindacale, ma questa è un altra storia). Qua i leader della protesta sono i leader sindacali, che manifestano accanto ai lavoratori, a tempo indeterminato, assunti da una impresa con più di 15 dipendenti, 5 se imprese agricole, manifesta una élite.

Si élite, poiché secondo una delle ultime ricerche dell’Istat, il tessuto produttivo italiano è composto per il 95% da imprese con meno di 10 dipendenti, di cui il 65,2% a carattere individuale. Mentre la Cgia di Mestre, su dati 2009, probabilmente i contratti non-standard sono adesso aumentati, ha appurato che sono oltre 9,5 milioni i lavoratori (compresi gli autonomi) non tutelati dall’articolo 18 perché impiegati in aziende con meno di 15 dipendenti, uniti al 13,6% di disoccupazione di cui quella giovanile al 46% (dati istat primo trimestre 2014).

Ecco perché starei in piazza accanto a Joshua, mentre credo che il 25 ottobre me ne starò a casa. Starò a casa perché non si manifesta come una comunità, ma chi ha difende quel che ha, voltando le spalle ad una generazione che questi diritti non li avrà mai.

A chi il 25 ottobre andrà in piazza però voglio dire una cosa: quando sarete li, in strada con le bandiere, guardatevi intorno, guardate la facce di chi vi sta accanto, guardate quanti anni hanno quelli vicino a voi, ho l’impressione che di giovani ne vedrete pochi, perché hai giovani oggi non serve l’articolo 18, serve un lavoro.

Lo so perfettamente che non è per l’esistenza di questa norma che il lavoro non c’è, ma quello che mi fa incazzare come una bestia, è che continuate a nascondervi dietro un dito per evitare i problemi, fate una manifestazione contro la disoccupazione, fatela sul fatto che l’Italia ha un bassissimo tasso di laureati, fatela un pò per cosa vi pare, ma fatela per la comunità.

Poi giratevi e guardate chi avrete intorno.

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