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#playforchange: fatti non foste per ascoltare i Modà

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Stasera Livorno avrà l’onore (e l’onere) di ospitare un supergruppo il cui nome non ricorre spesso nelle orecchie del grande pubblico: non male visti i tempi che corrono, tempi in cui trova posto anche Marco Carta (!!!) nella Top Ten dell’Italian Top Chart. Solo nello scriverlo mi pervade una tristezza infinita che stasera cercherò di scacciare con la qualità di questo progetto musicale.

Molte note del guazzabuglio musicale che ascolteremo dopo cena nella cornice di Piazza del Logo Pio, saranno emesse dagli strumenti amaranto dei fratelli Luti, Roberto e Simone. Alzi la mano chi non li conosce. Bene, ributtatela giù e andate a scrivere questi due nomi su YouTube, ascoltate qualcosa in silenzio e con attenzione, poi guardate il numero di visualizzazioni dei video e domandatevi perché non lo avete fatto prima.

E sono state proprio le dita sapienti di Simone Luti, bassista eccelso ma anche persona squisita e piacevolissima che ho la fortuna di conoscere e che ringrazio per l’estrema gentilezza di aver trovato un minuto per scriverci nonostante la preparazione febbrile all’evento incombente, ad onorare me e il nostro blog #fuoricomeva con un piccolo contributo in merito alla serata di stasera. Non mi resta che augurarvi buona lettura e darvi appuntamento a stasera.

 PFC nasce da un’idea di Mark Johnson, produttore californiano di Santa Monica, intorno al 2000. Inizialmente il senso di Playing For Change è “suonare per gli spiccioli”, ed è un documentario sui musicisti di strada che si trovano nelle grandi città americane. Mark si accorge che l’idea ha un potenziale concreto, e il quid è aggiunto riprendendo con la videocamera Roger Ridley, musicista di strada proprio di Santa Monica. Roger esegue una versione tutta sua di “Stand by me”, il classico portato al successo da Ben E. King, nei ’60 e Mark lo registra filmandolo, dando vita al “punto zero” dell’intero progetto di Playing For Change; con la registrazione di Roger Ridley, Mark contatta altri musicisti, facendogli ascoltare in cuffia la traccia del musicista di Santa Monica e chiedendo loro di suonarci sopra con il proprio stile, senza limite all’espressione, in una sorta di grande concerto in differita, musicista dopo musicista, con un susseguirsi di aggiunte e particolarismi che hanno portato il video, una volta finito il montaggio audio-video, ad essere uno dei più cliccati su Youtube. Il video di “Stand By Me di Playing For Change” raggiunge quasi 65 milioni di contatti e Playing For Change diventa un fenomeno virale, Mark Johnson, assieme ai suoi collaboratori, continua a girare per il mondo e filma e registra più di 100 musicisti, individuando il vero denominatore sociale e culturale che è la spina dorsale del progetto: l’uguaglianza di tutti, il rispetto per tutti, nessuna barriera, le differenze culturali come valore morale.

Playing For Change giunge al terzo disco, uscito in questi giorni, ma non è solo musica; il progetto non vive da solo e la sua altra anima è rappresentata dalla Playing For Change Foundation che converte la totalità dei ricavi dalla vendita dei dischi in un atto molto pratico e concreto, che palesa la forza del progetto PFC: la costruzione di scuole di musica, danza e teatro, arte in generale, nelle zone depresse del pianeta. Sino ad ora ne sono state completate tre e altre 4 sono in via di essere inaugurate, dal Sudafrica al Rwanda, al Nepal, in India, nel Mali, in Ghana, coinvolgendo 15.000 persone nella realizzazione, dando a 1500 bambini la possibilità di una istruzione, mettendo in sicurezza zone malfamate o solamente abbandonate.

PFC ha una emanazione live, la band di 13 musicisti provenienti dai 5 continenti, e un loro concerto non è solamente un concerto, ma una riunione, una assemblea, quasi un ritrovo tra chi crede intimamente che l’uguaglianza debba essere il vero motore morale dei nostri tempi.

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