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Ayrton il mago della pioggia e Gilles l’aviatore

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Il mese di maggio è sempre una brutta ricorrenza per chi, come me, non riesce a scindere la superstizione dalla vita di tutti i giorni. Il 1° maggio 1994 avevo 4 anni, non ricordo molto di quel giorno, so solo che mio fratello salì affranto in camera ed ascoltò “Mmm Mmm Mmm Mmm” dei Crash Test Dummies ed io la associai a quel triste evento. Un paio di settimane fa era il ventennale dell’Imola maledetta, della curva Tamburello con quelle vie di fuga troppo corte.. dei “frammenti del braccetto destro penetrati nel casco”. Il 1° maggio 1994 Ayrton non sventolò la bandiera austriaca, quella stessa bandiera ritrovata tra i frammenti della F1 e custodita all’interno dell’abitacolo del brasiliano, che così tanto era stato colpito dalla morte nelle qualifiche dello sfortunato Roland Ratzenberger.

Ayrton Senna da Silva quel giorno non voleva correre, era solito portarsi dietro la sua Bibbia rilegata in rosso per leggerne un passo ogni weekend prima di ogni gara (nel 1988 aveva detto di aver visto Dio accanto a lui poco prima della vittoria del Mondiale) e quella mattina aprendo una pagina a caso, lesse un passo in cui c’era scritto che Dio gli avrebbe fatto il dono più grande di tutti, cioè Dio stesso. Ma quel giorno lo stesso Dio che, come dichiarò il pilota, fece piovere nel 1991 facendolo vincere ad Interlagos di fronte alla sua gente (ed in quell’occasione Ayrton alzò il braccio al cielo durante la gara per ringraziarlo), questa volta rimbalzò nel muro insieme a lui.

A noi non resta altro che l’on-board camera di una Williams che tira dritto e tanti pallini neri e grigi.

Sono le 18:40 del 1/5/1994 e la dottoressa Maria Teresa Fiandri, Primario del reparto di Rianimazione e del 118 dell’Ospedale Maggiore di Bologna, si trova di fronte ad un microfono, con parole spigolose in gola, che non vogliono uscire. In un’intervista recente racconta di come quasi potevi innamorarti di quel corpo integro e perfetto, disteso su quella barella, e di come alcune persone esclamarono “quanto è bello”. Ad oggi la leggenda di Ayrton è ancora indissolubile e continuano ad entusiasmare i sorpassi e le rivalità con “il professore” Alain Prost.

Era l’estate del 1977 ed un uomo ridusse drasticamente la distanza che intercorre tra una motoslitta canadese ed una monoposto F1. L’approdo di Gilles Villeneuve alla Ferrari fu uno degli ultimi regali dell’amatissimo Enzo Ferrari, il quale vide in quegli occhi di ghiaccio ed in quel cuore tenero, il nuovo astro nascente. Villeneuve diventò ben presto l’idolo della folla, con sorpassi spettacolari e curve al limite, senza curarsi troppo di vittorie e successi. Era un macinatore di auto, stressava frizioni, cambi e semiassi, innamorato, ovunque e comunque, della velocità.

Non rinunciava ad essa neanche nel tragitto tra l’albergo e il circuito dove, come ricorda il capo ingegnere Mauro Forghieri in occasione di Anderstop ’78 “inscenò una sorta di prova speciale a 180 km/h in un bosco di betulle”. La lotta per il secondo posto durante il GP di Francia 1979 rimarrà nella storia come una delle più spettacolari bagarre tra il 27 rosso e la Renault Turbo di René Arnoux e poche settimane dopo, a Zandvoort la “febbre Villeneuve” cresce, ed il pubblico s’infiamma quando il canadese, con una gomma forata, compie un giro sul cerchione, tra fumo e scintille. Questo era Gilles, un uomo genuino e sincero fuori dal circuito ed un tornado di emozioni, incidenti e cordoli bruciati, capace di rubare il palcoscenico a tutti gli altri piloti, con il completo disinteresse per classifiche, punti, trofei.

Per Gilles esistevano solamente due cose: la velocità e la lealtà. All’interno della scuderia Ferrari esisteva un codice d’onore tra i piloti, secondo cui se le monoposto si fossero trovate in prima e seconda posizione non avrebbero dovuto ostacolarsi a vicenda, congelando le posizioni in favore di chi, per primo, era passato in testa alla gara. Durante Imola 1979 Gilles tenne fede al codice, aiutando a conquistare gara e titolo al compagno di gara Jody Scheckter.

Secondo il parere di molti quindi, la vera morte psicologica dell’Aviatore, risale non a Zolder 1982, bensì a Imola dello stesso anno quando il nuovo compagno di squadra, Didier Pironi, ignorando bellamente il cartello “SLOW” della scuderia (ovvero mantenete le posizioni e arrivate al traguardo), superò Gilles all’ultima curva, vincendo al suo posto il GP. Il canadese ne uscì psicologicamente distrutto, arrivando perfino a portare i propri disagi all’interno del proprio matrimonio. L’ultimo volo dell’aviatore fu durante le qualifiche del triste GP di Zolder del 1982, mai si sarebbe aspettato la lenta monoposto di Jochen Mass all’uscita di curva. Gilles Villeneuve morì a Louvain poche ore dopo. Alla fine Gilles è diventato leggenda facendo quello che amava e, probabilmente come avrebbe voluto, ovvero senza aver mai vinto un titolo mondiale. Ma a dedicarglielo nel 1997, ci penserà Jacques. Quel dolce bambino biondo, che da tempi non sospetti amava scorazzare tra benzina e pneumatici nel box del padre.

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