Non sono un renziano della prima ora. Il messaggio di rinnovamento che promanava dalla figura di Matteo Renzi non mi aveva originariamente convinto. Credevo che la rottamazione fosse un mero slogan, vuoto di contenuti. La sconfitta elettorale subita il 24 e 25 febbraio 2013, per quella che per molti, compreso il sottoscritto, doveva essere una facile vittoria, oltre ad un forte disorientamento e dispiacere, ha condotto a pormi degli interrogativi di fondo su quelle che erano delle Verità che davo assiomaticamente per appurate. Interrogandomi su questi dogmi ho cominciato a realizzare che, probabilmente, qualcosa che non andava effettivamente c’era. Sono ormai decenni che parliamo dell’Italia come di un paese dalle grandi potenzialità inespresse. Sono anni che si susseguono analisi su quelli che sono gli elementi di criticità del sistema Italia. Forse a qualcuno poteva sembrare che la ripetizione costante, come un mantra, di tutte le nostre debolezze fosse sufficiente per scacciarle definitivamente, ma il trascorrere del tempo non ha portato a niente di tutto questo.
Credevo che i diversi metodi di far politica introdotti nel nuovo millennio avessero scongiurato il mantenimento di una classe dirigente autoreferenziale racchiusa nella propria torre eburnea distante dai problemi e dal modo di pensare dell’uomo comune. E invece no. Non sono sufficienti i politici di lungo corso, anche il ceto intellettuale, proprio quel ceto intellettuale che di politica ha vissuto e mangiato (nel senso più nobile del termine, lungi da me insinuare alcuna illegalità), proprio adesso, dopo aver per decenni additato i continui e frequenti sprechi pubblici, improvvisamente si accorgono che non appena si comincia a tagliare vengono meno alcuni baluardi da qualcuno ritenuti gli ultimi bastioni a difesa della democrazia.
Matteo Renzi può rimanere simpatico o antipatico, competente o meno, ma è innegabile che il suo ingresso nella macchina governativa abbia sancito una forte cesura rispetto al passato: sono cambiati i tempi della politica. Se c’è un problema è inutile dibatterne per anni senza addivenire ad una soluzione, il problema deve essere risolto. E se le nostre istituzioni non favoriscono questa velocità, anche le istituzioni devono essere cambiate. Un’ottima costituzione nata dalle ceneri di un paese distrutto dalla guerra, all’interno di un continente che in un trentennio ha visto oltre 50 milioni di morti in una lotta fratricida non è necessariamente la migliore carta fondamentale in una realtà ormai cambiata.
Nonostante una crisi che ha minato lo stato sociale e il benessere di milioni di cittadini l’Unione Europea continua ad essere un’area dove i diritti fondamentali vengono garantiti, dove le istituzioni vengono democraticamente elette, dove la ricchezza procapite è nettamente più alta di qualunque altra area equivalente del mondo, dove, in poche parole si vive generalmente meglio che altrove. Rilevo, tuttavia, che l’unico paese in Europa ad avere quasi mille parlamentari sia l’Italia oltre ad essere l’unico (in compagnia della sola Romania) ad avere un bicameralismo perfetto. Mi ricordo ancora quanto rimasi basito alla spiegazione del mio professore di Diritto Costituzionale quando ci esponeva il meccanismo della c.d. “navette”, ovvero, come rendere inefficiente la funzione legislativa. Già il noto giurista Crisafulli considerava il nostro bicameralismo “assurdo ed ingombrante”. Senza considerare che la letteratura in materia di diritto parlamentare considera il caso italiano del bicameralismo perfetto come un emblematico caso di studi su ciò che non deve essere fatto.
Ma allora molto umilmente mi chiedo…ma non è possibile fare qualcosa? Non è possibile cominciare a cambiare questo paese a partire da ciò che non funziona nelle istituzioni? Dire che il senato non vota più il bilancio dello Stato o conferisce la fiducia è una diminuzione di democrazia? Ma negli altri paesi come fanno? Si ritiene che in Germania o negli Stati Uniti siano meno democratici di noi? E allora dove sta il problema? Sta forse nel fatto che introducendo il principio della gratuità si vanno a minare degli incrostati privilegi? Non posso credere che stimati professori universitari o altri intellettuali portino avanti interessi di una tale bassezza, pertanto, forse vuol dire che non si sta comprendendo qualcosa: questo paese o cambia, o, come una fiamma che termina il suo combustibile, piano piano si affievolirà fino a spegnersi.
Dobbiamo cambiare qualcosa, e ritengo che questo debba avvenire a partire dalle istituzioni, le quali devono risolvere i problemi. Ritengo che 630 deputati possano già sufficientemente portare avanti le istanze delle minoranze e far emergere eventuali incongruenze o eccessi di potere. Una maggioranza regolarmente eletta, però, ha il diritto-dovere di governare. Deve fare delle scelte, le quali, talvolta, possono anche essere dolorose, ma la democrazia, a mio avviso, è proprio questo. Chi vince, governa, se al termine dei cinque anni il risultato è positivo, si viene rieletti, altrimenti a casa. La politica deve scegliere, condurre il paese secondo la propria sensibilità. Non sono in discussione i principi fondamentali della nostra costituzione, quelli sono immodificabili. Le libertà non possono essere compresse a piacimento. Ma il potere esecutivo deve governare e il potere legislativo legiferare.
Il mondo attuale non consente più ulteriori ritardi. Per noi è l’ultima chiamata. Stanno cominciando a riaffacciarsi gli investitoti internazionali, stanno ricominciando a credere in noi. Non è il momento di fronde interne, non ci sono diritti inalienabili per cui combattere con le armi, adesso c’è soltanto da far decollare un paese che richiede di respirare nuovamente un po’ di benessere. Non fermiamoci adesso, i cittadini potrebbero perdere davvero la fiducia e la pazienza per certi inutili tatticismi e tecnicismi di certe minoranze interne che non rispecchiano la volontà popolare. Se vogliamo un paese moderno ed europeo è questo il momento di fare tutte le riforme possibili per far sì che l’Italia torni ad essere un paese virtuoso e capace di produrre crescita, a partire dal suo ceto politico. Quindi chiedo cortesemente, ma con fermezza a certi ottuagenari che hanno già dato a sufficienza, basta, è il momento che qualcun altro si prenda le sue responsabilità, è in gioco il destino di tutti, o cambiamo la nostra società per intero o vedremo ogni giorno erodere sempre più tutte le nostre certezze.