Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Parliamo di politica, più o meno seriamente.
Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Ecco perchè dovremo sempre qualcosa al Signor G.

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L’ultimo argomento da me trattato, Renzi a Pisa, è stata un’occasione capitata ad hoc per rompere il ghiaccio. In realtà ci tenevo a dedicare il mio incipit alle parole, ormai vecchie di anni, inchiostro di un inestimabile artista nostrano, ed alla loro capacità di tramutarsi in specchio della nostra attualità.

E’ stato difficile inserirsi in un contesto di libera comunicazione così popolato. Il primo muro è stato il costruirmi una parvenza di originalità, per poter discutere di argomenti che non andassero a pestare i piedi ad articoli passati ed ai campi degli altri collaboratori. La scala a pioli con la quale ho tentato di scavalcarlo è rappresentata dal filo conduttore unico che terrò nei miei articoli, apparentemente inedito in questa sede, ovvero: musica e politica.

Il secondo muro è quello assai comune a chi, come me, tende ad idolatrare migliaia di personaggi che hanno contribuito e continuano a farlo, a questo gigantesco cosmo di parole, pensieri, prose e canzoni; quelle che contano. Osservando con rispetto verso la piramide di personalità che ognuno di noi, internamente, custodisce con gelosia e verso le quali provo un amore sconsiderato e folle, ho deciso di dedicare il mio “intro” a un signore, più precisamente al Signor G. Lungi da me qualsiasi tentativo biografico e “wikizzante” del Giorgio Gaber uomo, il mio tentativo sarà quello di farvi scoprire o riscoprire questo personaggio unico, ascoltandone la perfezione di alcune parole e concetti, cercando di trasmettervi quel sorriso spaesato in cui, durante l’ascolto, troppe volte mi ritrovo imbambolato.

A mio parere il vero Giorgio Gaber, mattatore, attore, autore, poeta, nasce sull’onda del “teatro canzone”, quando la sua eterna passione per la prosa, per la recitazione, prende vita con un’ardua scommessa, vinta a pieni voti, teatro per teatro. Se dovessi far conoscere Il Signor G proporrei il brano “La sedia da spostare” dove questo grandioso genio bicefalo “Luporini/Gaberscik” sintetizza due repubbliche italiane –nonché il monotono tritume politico e demagogo, assiduo condimento della nostra esistenza– in 2 minuti e 38 secondi di monologo. Se volessi far conoscere questo assurdo coacervo di staticità, muffe, sederi incollati alle medesime sedie, dribbling a destra e finte a sinistra, distillato di un’ipocrisia ormai mondana, consiglierei il monologo “I Partiti” da “Libertà Obbligatoria”; sottolineando l’anno di creazione: 1976. Si ride con Gaber, e c’è un monologo per ogni occasione, “L’azalea” ricorda i nostri consueti salti di buonismo per un karma a cui nessuno dice di credere, ma che tutti rispettano. In “Le elezioni” scorgiamo la nostra figura nello specchio dell’elettore che, osannando la perfezione della democrazia, quanto mai esplicita in questo giorno di abnormi decisioni, finisce con il rubare la matita “perfettamente temperata”.

Mi sono commosso, sulle note de “I reduci” o su “La comune”, festeggiando per epoche mai vissute, ricordi d’altri e rattristandomi su pensieri di sconfitta e sbandamento tipiche del ’68 italiano. Ed ho visto afflosciarsi quel palloncino che volava alto, quando “tutto che saltava in aria”, il fermento e l’apparenza di qualcosa che sembrava lì, a portata di mano, lasciava spazio alla coscienza di essere un altro borghese normale. La vera forza del “teatro canzone” era la trascendenza; il potere di farci fluttuare al ritmo di canzoni e prose, ora catartiche, ora deflagrazioni progressive di urli e perfetti ricami d’interpretazione. Giorgio Gaber è stato uno dei più grandi attori che la storia contemporanea italiana abbia mai avuto; tornerò in futuro ad occuparmi di lui, oggi termino questa mia prima linea del pentagramma con un estratto del 1985, “Quello che da un certo punto in avanti è stato meno chiaro è quali sono quelli bravi e quali no (…) una volta erano bravi quelli che la pensavano come te.. e per quelli che la pensavano come lui: Giulio (Andreotti ndr.) era bravissimo.. ora è bravo per tutti, capisci? Anche per quelli che non la pensano come lui !! In questo spopolamento generale politica, cultura, spettacolo tutto, non sono le idee che contano no ! Non è la visione delle cose (…) è l’astuzia del mestiere,la bravura, che conta è L’AUDIENCE.. Ma siiii!! Ma siii !! E’ inutile andare tanto per il sottile, è inutile star qui a votare la gente per quello che fa (…) ma chi se ne frega!! L’importante è l’indice d’ascolto, l’aver dietro le masse (…) non è bello ciò che è bello, è bello ciò che ha AUDIENCE !”

Brano rappresentativo : “L’ingranaggio (Seconda Parte)” – 1972

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