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Le discariche abusive in Campania. Una tragedia che riguarda tutti noi

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Mi sono occupato di rifiuti nella mia tesi di laurea e da allora ho sviluppato una sorta di fissazione: quando scorro la home di un giornale on line, è difficile che mi sfugga un articolo sulle discariche o sui rifiuti in generale. Oltre a quelli che riportano, con cadenza almeno mensile, le irregolarità presunte o accertate nella gestione delle discariche – magari con contestuali procedure d’infrazione aperte dalla Commissione Europea – negli ultimi giorni si sono susseguite le notizie sulle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone rese alla commissione bicamerale sul Ciclo dei Rifiuti nel lontano 7 Ottobre 1997.

Chi era Carmine Schiavone è presto detto: come si autodefinisce nei verbali, è stato un “amministratore” – oggi si direbbe Chief Financial Officer – della Camorra casalese. Quello che teneva i conti sul libro mastro, in pratica. In quelle dichiarazioni, rese note solo adesso e dopo una mobilitazione della società civile anche attraverso la piattaforma Change.org che voleva la rimozione del segreto di stato, si leggono cose a dir poco sconvolgenti. Partiamo intanto da una precisazione: Schiavone fa riferimento al solo periodo che precede il 1992, anno del suo arresto. Ai deputati che lo interrogano, racconta che nel 1990, anno nel quale il Clan prenderà in mano lo smaltimento illegale dei rifiuti, l’attività era già avviata da diversi anni e portata avanti dalla criminalità organizzata sia in Campania – in quel territorio personalmente da suo cugino Francesco Schiavone detto “Sandokan” insieme a Mario Iovine e Francesco Bidognetti, che fino al 1990 “si tenevano i soldi per loro” – sia nelle restanti regioni meridionali. “Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? L’essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1992, la zona del Sud, fino alla Puglia, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia”. Il territorio del business casalese erano le province di Caserta, Benevento, l’hinterland napoletano, Latina (“diciamo la zona di Roma”) e il Molise.

Quindi, fa un elenco delle aree dalle quali provenivano i rifiuti e cioè Milano, Genova, Spezia, Cengio (la famosa ACNA), oltre che da svariate località italiane e toscane, tra cui Arezzo, Pistoia, Massa Carrara, Santa Croce sull’Arno. Ma, come anticipato, non solo italiane erano le origini della “munnezza”, anche se definirla munnezza appare riduttivo. Alcuni camion arrivavano pure dalla Germania e il loro contenuto, fanghi nucleari (sì, sì avete letto bene, proprio fanghi nucleari), veniva sversato in alcuni terreni “dove oggi (1997, data dell’interrogatorio, n.d.r.) pascolano le bufale e non cresce più erba”. Tale era la pericolosità di alcuni rifiuti che si legge che addirittura durante uno scarico un autista rimase cieco.

Dal racconto del pentito emergono altri particolari interessanti. E inquietanti. A intraprendere questo tipo di rapporti commerciali era stato l’Avv. Cipriano Chianese, che aveva introdotto il geometra Gaetano Cerci in alcuni circoli culturali frequentati da pezzi grossi dell’industria italiana. E ad un certo punto dell’interrogatorio, pur non confermando che tale conoscenza sia stata fondamentale per il traffico di rifiuti, Schiavone allude ad una forte amicizia tra il geometra e Licio Gelli.

Ma la domanda che tanti di noi si sono sicuramente posti è come sia stato possibile – in un periodo dove le merci non viaggiavano con la semplicità con cui viaggiano adesso, quali quello degli anni ’80 e dei primi ’90 – che un camion carico di rifiuti speciali varcasse la frontiera italiana e percorresse centinaia di kilometri andando a sversare tonnellate di sostanze inquinanti in un piccolo comune campano. E questo, in tutta tranquillità. La domanda trova presto risposta: “Avevamo creato un sistema di tipo militare, con ragazzi incensurati, muniti di regolare porto d’armi, che giravano in macchina. Vi erano persone addette ai controlli alle macchine. Avevamo divise e palette dei Carabinieri, della Finanza, della Polizia..”. E gli amministratori locali? Schiavone spiega che in quegli anni “facevamo eleggere tutti e 106 i sindaci della provincia di Caserta, di qualunque colore politico”. E si vanta, con i deputati, di aver fatto diventare un consigliere comunale comunista – tale Enrico Fabozzo, indispensabile per raggiungere la maggioranza – democristiano in una notte.

Ma la Camorra non si limitava a controllare il flusso dei rifiuti pericolosi e a formulare un prezzario per chi chiedeva che venissero smaltiti. Guadagnava anche frodando sui normali smaltimenti, quelli autorizzati. Come spiega il pentito, i rifiuti destinati alle discariche autorizzate, una volta che il camion avesse ottenuto la bolla di accompagnamento con la registrazione di conferimento effettuato legalmente (da girare poi all’amministrazione committente) venivano presi in carico dall’organizzazione e smaltiti abusivamente nei campi, chiedendo ovviamente un prezzo per questo. E quel prezzo erano le stesse discariche autorizzate a pagarlo. Tutto ciò, semplicemente, per evitare il loro rapido riempimento e il conseguente lievitare dei costi. In pratica, non c’era rifiuto che potesse essere smaltito, legalmente o illegalmente, senza il controllo dei camorristi.

Infine, Schiavone si lascia scappare una premonizione che mette i brividi: “gli abitanti di quei paesi, Casapenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, rischiano di morire tutti di cancro entro vent’anni!”.

Ora, possiamo concederci il beneficio del dubbio nel credere a queste dichiarazioni, così come per tutte quelle rilasciate dai pentiti. Ma se fosse vera anche la metà, o anche la metà della metà, di quanto riportato finora, soprattutto per quello che riguarda la provenienza dei veleni sversati nelle campagne del Sud, allora come cittadini italiani non possiamo tirarci fuori dalla vicenda. Non possiamo non pretendere che si faccia luce su chi pagava per smaltire i fanghi tossici. E su quanti sapevano e hanno taciuto. Non possiamo non assumerci parte di quella responsabilità sociale che sta alla base del condividere le stesse istituzioni, lo stesso Stato. Perchè, ad esempio, non ci venga il dubbio che le scarpe che abbiamo portato o le vernici con cui abbiamo dipinto le nostre case siano state prodotte condannando qualcuno ad una vita d’inferno. E questo lo dobbiamo a tutti i malati e ai loro familiari che lottano quotidianamente contro i tumori, che scoppiano e sono scoppiati a migliaia ogni anno in quelle zone.

Non lasciamoli soli.

Post scriptum: ieri sera da Santoro, Renzi ha detto che la prima cosa che farà, se sarà eletto Segretario, sarà quella di visitare la zona della Terra dei Fuochi. Bravo.

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