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Identità e vestiario: le divise nei generi musicali. Rap vs Grunge

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Un paio di settimane fa ero a Londra, città cosmopolita se ce n’è una. Girando per i vari quartieri (Camden, Brick Lane, Notting Hill, Soho) noti un agglomerato di persone fra di loro completamente diverse: noti i tipici hipster londinesi con le tipiche risvolte (tanto amate anche nella nostra città), i calzini a vista e gli occhialoni nerd, altrimenti le varie tipilogie di punk, da quelli ricoperti di borchie e con le creste di ordinanza, o quello che vive ancora ai tempi dei Sex pistols, coi jeans rotti e le maniche strappate, fino a arrivare ai rapper coi pantaloni bracaloni e chi più ne ha più ne metta.

Arrivato a questo punto mi pongo una domanda che non capisco per quale motivo non mi sia mai posto.

Ma perché diamine si vestono in quella maniera? Ok, si identificano, ma da dove nasce tutto ciò?

Quindi dopo accurati studi e ricerche per le quali il CNR ha stanziato svariati milioni ecco a voi i vari risultati:

Rap – hip/hop: Partiamo dal presupposto che il rap è la componente vocale della cultura “hip/hop”, il parlare su un certo beat, nasce negli anni 70, nel 80 inizia a uscire alla ribalta con gli Sugarhill Gang e la loro canzone “rapper’s delight”, ecco ora sto parlando dell “old school rap”, per ora ancora niente pantaloni bracaloni, anche perché gran parte del movimento è sempre molto influenzato dal soul e dal funk, quindi anche dai suoi vestiari.

Una cosa ci ha fatto arrivare alla “golden age” del rap, che poi è quella che ci interessa per il vestiario, il crack.

L’hip hop ,prima, era musica “tranquilla”, a fine anni 80, inizia quello che conosciamo tutti noi, quella musica che ti parla della vita dei sobborghi poveri, dove non si arriva in fondo alla giornate, dove girano solo droghe, puttane, polizia e soldi sporchi, insomma, nel ‘92 1 nero su 12 moriva per morte violenta, buona statistica.

Sapere tutto ciò a cosa ci serve? Serve a capire l’ambiente che si viveva, come crescevano i ragazzi, i futuri: rapper, giocatori di basket, spacciatori e tossici (generalizzazione esagerata n.d.r.).

Le famiglie erano povere, ma sfornavano figlioli a raffica, non c’erano i soldi per mantenerli tutti, quindi oltre a mandarli per strada molto presto, venivano vestiti con i vestiti dei fratelli maggiori, se non che del padre, quindi crescevi abituato ad aver tutta roba di 3 / 4 taglie più grande, e quando diventi più grande poi non è che inizia a vestirti della tua taglia, oramai sei abituato così, inoltre erano comodi, ci nascondevi di tutto sotto i felponi o dentro i “baggy jeans”, droga e armi centralmente.

Poi naturalmente siamo andati avanti negli anni, siamo arrivati all’oro e ai cappellini, altre accezioni fondamentali nel vestiario hip/hop.

L’oro, l’era del “bling bling”, a inizio anni novanta, cioè il lusso e lo stralusso ostentato in maniera quasi fastidiosa dai rapper che avevano fatto i soldi, e che giravano in macchine lussuosi, pieni di catenoni d’oro vestiti con abiti firmati.

Infine i cappellini, voi penserete (e anche io pensavo), saranno per le squadre che tifano? E invece no, cioè forse in parte si, ma spesso eran segnali di identificazione, prendiamo la California, L.A. naturalmente, c’erano due gang nemiche:

I Bloods, che avevano il cappellino di una determinata squadra, che doveva essere rosso per riconoscersi; logicamente ricollegato al colore del sangue, e i Crips, che invece si vestivano di Blu, col cappellino della squadra della High School di Los Angeles che era di tale colore.

C’è da dire che in alternativa al cappellino il rapper copriva la testa con una bandana, naturalmente sempre del colore della sua gang.

Ascolto consigliato: Nas – N.Y. State Of Mind; probabilmente la più bella canzone rap sulla Grande Mela, in cui Nas riesce ad esprimere come nessun altro la tensione che si respira a New York, naturalmente la New York dei ghetti neri, un’ansia ben sintetizzata dal verso “I never sleep ‘cause slippin’ is cousin of dead”.

Grunge: Sporco. Grunge è un aggettivo, sinonimo di dirty, che ci fa già capire tutto, dallo stile musicale, al vestiario dei suoi musicisti/seguaci.

Il Grunge nasce a Seattle, negli anni 80, la persona che ha definito per la prima volta il “Seattle Sound” con tal parola è stato Mark Arm, cantante dei Green River, primo vero gruppo grunge della storia.

Il termine era stato usato da Mark per definire il suono del gruppo, ma in seguito tal termine andò a definire il sound dell’intera scena di Seattle.

Il Grunge è più un movimento che un semplice genere musicale, i vari gruppi mixavano influenze heavy metal, hard rock, punk rock e hardcore, chi più chi meno, tralasciando completamente sintetizzatori e tastiere e tornando a una strumentazione semplice e d’impatto; ha inoltre un forte impatto politico, diventando infatti un mezzo di denuncia contro l’attuale politica statunitense.

I testi parlano della povertà, della disoccupazione, della dipendenza da droghe, Seattle era un importante centro per l’eroina, non pochi saranno infatti i morti per questo, si ricordano:

Andrew Wood, morto nel ’90, il primo morto del Grunge, cantante dei Mother Love Bone, i futuri Pearl Jam (dopo la scoperta di Eddie Vedder).

Layne Staley, morto nel 2002, Cantante degli Alice in Chains, forse la più bella voce del Grunge.

Kurt Cobain, morto nel ’94, suicida, la sua morte non fu colpa delle droghe, non che non ne assumesse, anzi , nel 93 andò in overdose di eroina prima di un concerto a New York, invece di chiamare un’ambulanza, Courtney Love, sua moglie, gli iniettò del Narcan (Naloxone) acquistato illegalmente, allo scopo di portarlo fuori dal suo stato di incoscienza; quello viene ricordato come una delle sue migliori performance di sempre.

I Gruppi di Seattle erano una comunità unità, frequentavano gli stessi locali e aveva caratteristiche estetiche molto simili tra di loro.

Il Corriere della sera nel 93 titolò: “Arriva il Grunge, addio yuppie”.

Lo stile Grunge era semplice, lunghi camicioni di flanella (a seattle fa freddo ) a quadri, i cosiddetti “lumberjack”, che venivano indossati dai taglialegna di quelle parti, con sotto t-shirt sudice, magari di altri gruppi, poi pantaloni strappati, converse alte , scarpe da basket o Dr. Martens, e naturalmente capelli lunghi.

Negli States questo modo di vestire aveva riscosso talmente tanto successo da ispirare alcuni stilisti alternativi, primo fra tutti Marc Jacobs, che fu definito addirittura il “guru del grunge”. Ma lo spirito di questo movimento era lontano dalle sfilate e aveva le sue radici nella spontaneità della strada.

Ascolto consigliato: Temple Of The Dog: Say Hello 2 Heaven; Stupenda canzone di apertura dedicata all’amico Andrew Wood, come tutto l’album, una bellissima ballata caratterizzata da un assolo strappalacrime.

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