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Contro il razzismo, siamo tutti con Cécile Kyenge

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I manichini insanguinati lasciati venerdì dai militanti di Forza Nuova alla festa del Pd di Cervia e qualche ora dopo l’episodio del lancio delle banane durante l’intervento del ministro dell’integrazione Cécile Kyenge segnalano il raggiungimento dell’apice di uno scontro politico violento che ormai ha abbandonato il metodo del confronto civile e rispettoso per approdare sul piano ben più semplice e di sicuro successo mediatico della volgarità senza inibizioni e dell’insulto gratuito. Questa degenerazione contribuisce senza dubbio all’odierno imbarbarimento della vita civile del Paese, come ha ricordato Napolitano, e, cosa ben peggiore, rischia di creare le premesse per l’innesco di una spirale di violenze che potrebbe finire in qualcosa di peggio. Se una persona mite e generosa come la ministro Kyenge ha dichiarato di temere per l’incolumità dei propri figli, la questione è grave e non dobbiamo sottovalutarla. La strage dei senegalesi di Firenze, ancora viva nella memoria di tutti noi, dovrebbe ricordare bene che l’odio razziale può armare la mano di qualche folle, generando tragici fatti di sangue.

In Italia alligna ancora oggi una cultura razzista minoritaria che dobbiamo impegnarci a debellare. Episodi di razzismo, infatti, si manifestano frequentemente, sui luoghi di lavoro accompagnati da sfruttamento e degrado, o a scuola tra ragazzi come sfondo ad episodi di bullismo, o nel mondo dello sport, dove frequenti sono state le offese a calciatori di colore come Boateng o Balotelli. Ma il razzismo peggiore è quello della politica che vive e prospera per fini elettorali. Per esempio, esiste una forza politica importante come la Lega che da anni strumentalizza la questione della sicurezza per denigrare l’immigrato, che descrive con un linguaggio spudorato le persone nere come “bingo-bongo” o oranghi, come ha fatto il suo più autorevole esponente istituzionale, il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, rivolgendosi al ministro Kyenge, senza poi neanche avere la dignità di dimettersi. Ma non c’è da meravigliarsi da un partito che minacciava di risolvere la questione dei profughi affondando a cannonate i barconi della speranza. E’ chiaro che in questo Paese il percorso di integrazione che porta a far convivere gli italiani con persone di diversa nazionalità o dal colore della pelle nero, sebbene moltissimi siano già cittadini italiani, non è ancora compiuto ed il ministro Kyenge risulta tanto più odiosa ai loro occhi perchè rappresenta il simbolo di un successo, della vittoria dell’accoglienza e dell’integrazione sull’odio e sulla paura. Ci voleva proprio un ministro nero per catalizzare la rabbia e gli sfoghi degli ultimi razzisti che, non avendo più contenuti utili da spendere in una argomentazione civile, dimostrano con l’insulto tutta la loro miseria e debolezza.

Tuttavia, non possiamo permetterci di abbassare la guardia, perché bisogna rompere definitivamente il circolo vizioso che dalla paura scivola nell’intolleranza. La strada verso il riconoscimento della dignità dell’altro non è ancora finita. Per questo, oltre alle doverose dichiarazioni di solidarietà alla ministro Kyenge, sta poi ad ognuno di noi impegnarsi quotidianamente con la parola e con l’esempio contro la logica perversa della discriminazione dell’altro e contro quella globalizzazione dell’indifferenza, denunciata con forza a Lampedusa da papa Francesco, vero cancro della nostra società.

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