Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Parliamo di politica, più o meno seriamente.
Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

Mario Schifano in mostra a Castello Pasquini. L’artista e l’uomo

Condividi

Facebook
Twitter
Telegram
WhatsApp

Mario Schifano 1960 – 1970

Castello Pasquini, Castiglioncello una mostra a cura di Luciano Caprile

20 luglio – 6 ottobre 2013

Sabato al Castello Pasquini ha inaugurato una mostra dedicata a Mario Schifano, pittore impossibile da etichettare, nato nel 1934 in Libia, ma vissuto nella vitale Roma del dopoguerra. Artista controverso e forse borderline, indisciplinato e senza scrupoli, con un ego eccessivo, dedito alla droga e alle donne, bramoso di fama, ma sicuramente geniale.

Comincia a dipingere all’interno della cultura informale, per poi prendere spunti da molte altre correnti artistiche, dalla pop art al futurismo ed è proprio con opere “informali”, caratterizzate da un alto spessore materico e da un’accorta gestualità, che la Galleria Appia Antica di Roma, inaugura la sua prima personale.

Però è dall’anno successivo, 1960, che la critica si accorge della sua potenzialità artistica, grazie ad una mostra tenutasi alla Galleria “La Salita” in compagnia di Tano Festa e Franco Angeli. Con questi costituirà la Scuola di Piazza del Popolo, il cui centro di ritrovo fu la Galleria d’arte “La Tartaruga”.

A questo punto abbandona l’esperienza informale e comincia a dipingere quadri cosiddetti “monocromi”, ottenuti incollando sulla tela carta da imballaggio e ricoprendola di un solo colore. Il dipinto diventa il punto di partenza, uno “schermo” in cui affiorano simboli della civiltà consumistica. I più noti e notevoli sono quello con il marchio della Esso e della Coca-Cola.

Nel frattempo approda a New York e qui conosce e rimane colpito dalla pop art e dal grande Andy Warhol.

Gli anni ’60-’70 infatti sono quelli che vedono la produzione delle sue migliori opere, ancora oggi incredibilmente attuali. A parte le già citate con i marchi pubblicitari, vi sono quelle dedicate alla natura e tra le serie più famose di queste, i “Paesaggi anemici”, realizzati utilizzando oli o smalti, nei quali annulla ogni elemento descrittivo e si limita al massimo a due colori, evocando il paesaggio attraverso il filo della memoria con frammenti e rimandi.

E il periodo in cui lavora per cicli tematici, alla fine del 1964 si dedicherà al “futurismo” e ancora una volta un’immagine presa dai mezzi di comunicazione di massa, la fotografia del gruppo storico futurista a Parigi, si presta a infinite interpretazioni.

Si concentrerà poi su un’altra sequenza, “Tuttestelle”, nella quale farà riferimento non al cielo, ma alle luci delle insegne dei locali notturni.

Del 1968 è invece la serie “Compagni Compagni”, in cui alcuni personaggi impugnano la falce e il martello e sullo sfondo echeggiano slogan rivoluzionari. Anche stavolta, così come nelle opere in cui fatti drammatici o significativi trasmessi dalla televisione vengono riportati sulla tela emulsionata riproponendola con tocchi di colore, emerge la sua fissa per la cultura delle immagini televisive. Ossessione che lo porterà a sperimentare lui stesso questa forma di espressione realizzando un film e dei video.

Insomma un artista poliedrico, vittima consapevole del bombardamento mediatico a cui la società degli anni sessanta è soggetta e che, solo come i grandi artisti sono in grado di fare, riesce ad assorbire e a rielaborare nelle sue opere.

Non ci resta che andare a vedere la mostra!

Qui trovate il manifesto della mostra ——> Manifesto

Ultimi articoli