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Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella, e mio fratello…

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Ci sono i semiologi che sanno scrivere romanzi e diventano celeberrimi come autori di quei romanzi (cioè uno, Umberto Eco, con quella storia del monastero e dell’assassinio da risolvere) e filosofi che scrivono una specie di romanzo e restano famosi soprattutto per tutto il resto. Michel Foucault, il filosofo in questione, ha scritto il quasi romanzo in questione nel 1973. Il quasi romanzo ha un titolo truce e parla proprio di quella cosa truce lì che lo intitola: Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella, e mio fratello.., (Einaudi, 2000). Il problema, qui, per chi scrive, è quello di come fare una recensione di qualcosa di così bello che non ha bisogno di nessuna recensione.

Per provare a dirne senza rovinare il piacere di leggerlo, per esempio, si può pensare alla storia del libro. La storia è questa.

Il filosofo, Michel Foucault, sta facendo un ciclo di lezioni in Francia, a Parigi, negli anni Settanta. Ha un po’ di idee, varie, su come pensa di descrivere le nostre società e alcuni loro aspetti attraverso i secoli. Ha anche un gruppo di collaboratori, dieci persone, che vengono da storie disparate e che nel libro sono nominate una per una, così, quando uno ha finito di leggerlo, se crede può andare a scoprire chi erano questi dieci quasi-scrittori (erano tutti studiosi di discipline diverse) che hanno aiutato Foucault a comporre questo quasi-romanzo. L’èquipe sta facendo un po’ di ricerca storica e si trova all’improvviso fra le mani il racconto di un processo che ‘presentava un certo numero di elementi notevoli’ (p. XV). Il primo, forse, era la circostanza: nel 1836 la giustizia francese era stata costretta a occuparsi di un contadino normanno di vent’anni, Pierre Rivière, che era sospettato di aver ucciso a sangue freddo con una roncola la propria madre, (incinta), la propria sorella di diciott’anni e il proprio fratellino di dieci. Il secondo elemento notevole era – ed è anche a leggere il libro nel 2013, che Pierre appena dopo l’arresto si era messo a scrivere una specie di spiegazione di 61 pagine, in cui confessava tutto e raccontava perchè aveva risolto di fare quel che aveva fatto. Ne era uscita una cosa unica, incredibile: Pierre in quelle pagine ricostruiva a memoria la storia del matrimonio tormentato e difficilissimo fra i suoi genitori, includendo dettagli infinitesimali su che cosa i due si erano gridati o dichiarati negli anni, sulla “roba” che la mamma provava a estorcere al padre, sul modo in cui lui e i suoi fratelli e sorelle si erano trovati coinvolti come figli e su come ognuno aveva dato un senso suo al conflitto familiare. Così Foucault e l’èquipe prendono questo diario e si mettono a cercare tutte le altre informazioni sul modo in cui Pierre è stato processato, esaminato, e poi giudicato colpevole della cupissima decisione di “liberare il padre dalla madre (p. 100)”. Nell’architettura del quasi romanzo, la spiegazione di Pierre è al centro, la precedono le notizie del ritrovamento dei cavaderi, e la seguono i documenti del processo, fino al suo esito. Poi, ancora dopo, nel libro ci sono dei mini saggi con titoli diversi: Foucault e i suoi collaboratori ci mettono una riflessione a testa, commentando e analizzando il senso e le tante questioni sociali e filosofiche che riguardano il caso di Pierre Rivière. Ma potreste non avere bisogno di farvi suggerire quali siano queste questioni dagli autori: la spiegazione di Pierre è, da sola, un lavoro di letteratura sociale che non assomiglia a niente. Per scoprire come funzionavano le separazioni dei poveri nella Francia del 1836, per leggere di come si comportavano e cosa facevano quelli che noi oggi ‘trattiamo’ come bambini, per la bellezza della descrizione delle cose più piccole da cui spuntano in controluce quelle più enormi, sull’amore, sulla durezza della vita e del lavoro, sulla possibilità di scegliere, nella vita, o affidarsi al caso. Vale la pena consumare un libro così bello proprio nei giorni in cui fa così tanto caldo, che poco, se non il meglio, si lascia leggere.

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