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Ermanno Martignetti ci parla del libro “Elogio delle minoranze”

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Ermanno Martignetti, classe 1984 è laureato in giurisprudenza.  Liberale, repubblicano e federalista. Lavora come assistente politico presso il Consiglio regionale della Toscana ed è delegato congressuale del Lymec – European Liberal Youth. Gli interessi che esulano dalla politica (ma forse nemmeno troppo) sono musica, (membro dei Voices of Heaven Gospel Choir dal 2006 al 2012), arte e antichità, religione, viaggi e cucina

E’ un caro amico. Interessato al nostro blog, manderà qualche articolo che avrò il piacere di pubblicare per lui.

Cominciamo con la recensione del libro “Elogio delle minoranze”

“Non è facile trovare in libreria scritti divulgativi sulle minoranze italiane e sul ruolo (non) svolto nella costruzione del costume sociale. Elogio delle minoranze (Marsilio 2013), è l’ultimo dei titoli disponibili sull’argomento che cercano di tracciare una mappa storica agile per orientarsi nella galassia delle culture di minoranza – ma non necessariamente minori o a vocazione minoritaria.

Approcciandosi alla lettura di questo libro, ma anche alla sua conclusione, è spontaneo porsi delle domande: ha ancora senso parlare di minoranze? Come può definirsi una minoranza? E rispetto a quale maggioranza?

Nella società contemporanea dell’informazione di massa e della massificazione dell’informazione, i processi di identificazione personale e collettiva si fanno sempre più fluidi, polverizzanti, dai contorni meno certi e approdano a risultati meno stabili. Nell’era della comunicazione digitale, istantanea, globale, in cui ogni soggetto si presenta sempre più come insieme di impulsi elettronici elaborati attraverso periferiche di input e output, gocce che si perdono in un mare sconfinato di voci che pretendono di esprimere un concetto di originalità o di alterità individualistica rispetto al “sistema”, ma che in realtà non fanno che compiere variazioni sul tema di opinioni di leader più o meno autorevoli secondo lo schema del following, le proporzioni di questa frammentazione sono estreme.

Ecco che, per questo, i classici canoni di costruzione delle identità di gruppo – lingua, religione, etnia, appartenenza politica, orientamento sessuale o identità di genere – si dissolvono nelle nebbie dei bit dell’elettronica e sembrano inibiti quei meccanismi di elaborazione delle alterità organiche che invece sono stati al centro delle battaglie (spesso perse) per la riforma profonda e la modernizzazione della società e dello Stato, cercando di spezzare il monopolio del pensiero dominante e omologante. Sembra quasi impossibile individuare una nozione di progresso adatta alla contemporaneità che tracci una linea netta, per quanto sottile e non sempre rettilinea, mentre si nota una tendenza all’avviluppamento del pensiero nei ghirigori cerebellari degli “uomini soli al comando”, che nel migliore dei casi non possono che esprimere tutta l’intrinseca contraddittorietà dell’essere umano.

Data questa situazione di apparente – e riteniamo “solo” apparente – stasi culturale, sociale e intellettuale degli individui e dei gruppi sociali, è opportuno riscoprire la lezione che la storia ci indica rispetto alle tante minoranze che hanno popolato la smemorata Italia preunitaria, ma anche post-risorgimentale e repubblicana.

In quest’operazione, Elogio delle minoranze, può essere uno strumento utile e prezioso, pur con tutti i limiti, le forzature e le omissioni che può presentare un lavoro ambizioso sia per il periodo di tempo coperto (più di 500 anni), sia per lo sforzo di ricondurre movimenti molto diversi tra loro e diversificati al loro interno ad unità ermeneutica, in nome di quell’elitismo virtuoso, opportuno e vantaggioso per l’intera comunità – contrapposto a quello reazionario che blocca il cambiamento o comunque ritarda fortemente lo sviluppo morale e materiale generale.

Quel che ci viene presentato è dunque un vivido affresco di alcune sfumature dell’italianità (non rispondenti affatto ai cliché più diffusi e vergognosi) che ad ogni occasione hanno cercato di emancipare il Paese dal provincialismo che sembra essere stata la sua persistente nota di fondo.

Non un panegirico degli sconfitti e dello sconfittismo, come tengono a precisare gli autori Panerari e Motta, ma un monumento al pragmatismo e all’antidogmatismo che le eroiche minoranze descritte ebbero quali punti di ispirazione nella loro concreta azione di costruzione di quel senso di condivisione e di appartenenza ad una comunità di liberi ed eguali, sempre carente o non sufficientemente robusta nella mentalità italiana.”

Ermanno Martignetti

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