Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Della diversificazione degli stipendi dei docenti proposta da Valditara e di come si tenda sempre a dividere una categoria già divisa.

Estonia, Polonia, Repubblica Ceca. Sono gli unici paesi del comparto europeo nei quali i miei colleghi guadagnano meno di me. Lo afferma l’ultimo report OECD Education at glance 2022, che restituisce un colpo d’occhio sulla situazione del sistema educativo a livello mondiale.

Con l’applicazione dei dovuti tassi di cambio (la valuta dei dati OECD è il dollaro), gli stipendi di noi docenti italiani sono il fanalino di coda di tutti paesi europei con un PIL simile al nostro e anche, rullo di tamburi, di tutti gli stipendi della pubblica amministrazione nostrana a parità di titolo di studio richiesto.

I soldi non saranno tutto, ma decisamente aiutano.

Aiutano a far sentire valorizzato un professionista a cui sono richiesti decine di titoli e concorsi e abilitazioni ed esami e che, saltando tutta la retorica trita e ritrita del “educhiamo le generazioni del futuro, tutto parte dai banchi di scuola”, semplicemente ha a che fare quotidianamente con situazioni sempre più spesso difficili, stressanti e frustranti, anche senza arrivare ad avere una classe che ti spara con una pistola a pallini mentre spieghi.

Lungi da me cavalcare l’onda di quell’increscioso e commentatissimo evento, su cui in molti, prima su tutte Luciana Littizzetto, avrebbero fatto meglio a tacere, ma quell’episodio una cosa purtroppo la dice, e anche forte e chiara: questo lavoro è sempre più difficile e agli insegnanti sono richieste sempre più competenze, sempre più empatia, sempre più coinvolgimento, sempre più sacrificio per far fronte a delle generazioni di ragazzi sempre più complessi con delle famiglie sempre più protettive e accudenti e poco inclini a rispettare il patto formativo che dovrebbe legare genitori e educatori.

Quindi Valditara dice “Aumentiamo gli stipendi”. Ottimo. La fila di quelli che lo hanno detto è lunga come quella alle Poste il primo del mese, quando danno le pensioni (fila che tanto io non farò mai), ma insomma, bene, alzateci gli stipendi.

“Calma, aumentiamo gli stipendi, ma non a tutti.”

Ah no?

“No, dipende dalla regione dove si insegna, dal costo della vita dell’area in cui si risiede… Milano mica è Napoli, non lo sa?”

Per carità, ma il lavoro invece sì, è lo stesso a Mondragone, a Firenze, a Bari o a Gussago (esiste, sta vicino Brescia, l’ho cercato su Maps).

E poi, signor ministro, come commenta giustamente Viola Ardone su Repubblica, la sua argomentazione sul costo della vita è opinabile assai per due motivi: dovrebbe riguardare tutti i lavoratori pubblici non solo i docenti, e poi a Milano sono cari gli affitti, vero, ma i mezzi pubblici, la sanità, la rete di servizi per cui noi insegnanti paghiamo tutti le stesse tasse, sono altra roba. A Lamezia spedo meno di affitto, ma probabilmente non troverò posto al nido e dovrò mettere mano al portafoglio per fare una semplice ecografia. Insomma, questa cosa di differenziare in base al CAP di residenza regge poco e sa tanto di: io soldi per tutti non li ho, troviamo un criterio che superficialmente appaia sensato e via.

Io credo, come Viola (che mi permetto di chiamare per nome invocando il senso di colleganza interregionale che porta due insegnanti che mai si sono visti prima a poter parlare di scuola per sei ore filate, ammorbando il resto degli astanti e chiudendosi in una bolla fatta dall’amore per uno dei mestieri più sociali e umani che ci siano), che diversificare di stipendi in generale sia un attentato a quell’uguaglianza che la scuola deve rappresentare e insegnare agli studenti di qualsiasi età, senza mortificare, anzi, umiliare (verbo caro al nostro ministro del Merito) nessuno. Mai. Da nessuna parte.

Come in ogni mestiere, anche tra noi docenti c’è chi fa bene il suo lavoro e chi lo fa male, ma sicuramente non dipende dal CAP.

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