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Il referendum e le ragioni degli altri

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Sul referendum ho scritto qualcosa che ha pubblicato l’Unità. A futura memoria, lo ricopio anche qua.

No, io non mi arrendo. Lo dico oggi con la certezza che tante cose dovranno ancora essere dette, scritte e fatte. Lo dico oggi di fronte ad una sconfitta, convinto che le battaglie sono giuste anche se si perdono. Lo dico oggi per rispetto verso tutte quelle persone che si sono mobilitate e hanno fatto questo pezzo di strada insieme a noi e oggi sono preoccupate, arrabbiate, confuse.

Per non arrenderci dobbiamo però anche interrogarci su cosa non ha funzionato. Il risultato è stato inequivocabile nei numeri, lo è meno nelle valutazioni che stanno dietro a quei numeri.

Faccio un passo indietro. Io, con altre persone, ho deciso di intraprendere, ormai molti mesi fa, l’avventura del referendum.

C i siamo registrati online, ci siamo riuniti, poi abbiamo raccolto le firme nelle strade e nelle piazze della nostra Livorno, abbiamo atteso la data della votazione, ci siamo auto tassati (più di una volta). Poi a settembre abbiamo deciso di affittare per due mesi un fondo (sempre a nostre spese) nel centro della città, con la finalità semplice di creare una sede fisica di incontro e discussione. Lo abbiamo tenuto aperto tutti i giorni tra mille peripezie, il lavoro e le famiglie in primis.

Abbiamo stampato volantini tramite un sito online, organizzato volantinaggi, tenuto una conferenza stampa, fatto alcune iniziative in libreria e teatro. Non sono mancati post Fb, telefonate e tutto il resto.

Provenivamo da diverse esperienze pregresse, ci siamo incamminati nella stessa direzione. Tutto questo di per sé è sufficiente per non arrendersi: dare un senso alla quotidianità che vada oltre se stesso, valorizzare il nostro essere “animali sociali”. Però abbiamo perso ed il come apre ai vari perché. Ci sono letture politologiche e identitarie.

Vengono contrapposti un 60% eterogeneo contro un 40% omogeneo, la conservazione contro il cambiamento, un populismo riformista contro un populismo sovversivo, la mitizzazione della Costituzione come ultimo elemento di identificazione di un popolo contro la ricerca di efficientamento e aggiornamento delle istituzioni, la ricerca di consenso di un leader tramite la personalizzazione contro l’antipatia che questa personalizzazione può produrre. C’è un po’ di verità in tutte queste cose, soprattutto se cerchiamo di capire le ragioni dell’altro.

Come ha fatto il regista Michael Moore quandoci ha messi tutti in guardia sulla possibile vittoria di Trump indicando come chiave di lettura quelle che sono le «ragioni degli altri». Per noi incomprensibili, ma per chi le ha, assolutamente decisive, tanto da fare la differenza tra vittoria e sconfitta. E se è vero che il Sì ha vinto solo tra gli over 55 e a votare No sono stati, oltre ai giovani, il sud ed i disoccupati, penso che le ragioni degli altri vadano indagate.

Certamente di quegli “altri” che hanno ragioni sensate, non quelle dei provocatori o degli urlatori ammantati di semplice odio. Ed io un’idea me la sono fatta. Si chiama povertà ed esclusione sociale, come ci dice il rapporto Istat di ieri. Si chiama disoccupazione, soprattutto tra i giovani e al sud. Si chiama sete di futuro. Perché quando si è in difficoltà e le cose non vanno bene, si è più facilmente preda di pulsioni da scaricare contro il governo di turno, si è più inclini ad un voto politico e meno di contenuto.

Non è un caso che negli ultimi giorni Beppe Grillo abbia fatto appello al voto di pancia. Per cui, la strada è chiara. Il governo Renzi ha fatto molto bene su tante riforme e oggi, nonostante la sconfitta, il Pd si vede consegnata un’agenda precisa per ritrovare l’empatia con il paese che vada oltre i numeri, che comunque non sono così insufficienti per elezioni politiche: continuare sul tema della crescita, agendo con più forza ed incisività su sostegno alla povertà, lotta all’esclusione e rilancio di una seria politica industriale.

Renzi ha l’intelligenza per capirlo e le capacità per farlo, candidandosi alle elezioni per la guida del paese. E così, per inciso, superiamo la storiella del Presidente del Consiglio non eletto dal popolo. Ma dopo questa tornata referendaria, in tanti ci siamo appassionati di nuovo alla nostra Carta, per cui, scompariranno molte storielle da social network.

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