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Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Che azienda, il Comune!

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Come raccontare il bilancio di un comune ad un arcigno ed ipotetico consiglio di amministrazione privato. Il Comune, visto dalle lenti di un’azienda, riserva sorprese, ma da quelle della politica di più.

Domenica di metà aprile, prima mattina e caffè alla mano, come ogni giorno e moltissime altre persone inizio il solito rituale: rassegna stampa delle aperture di ogni testata nazionale, poi quelle locali, per finire con lo sfoglio veloce di un paio di giornali nazionali e la lettura di qualche articolo che ha catturato la mia attenzione.

Su uno dei principali quotidiani locali è pubblicata una -ben fatta- doppia pagina con la “classifica delle aziende più ricche di Livorno e Collesalvetti”. Sarà che proprio poche ore prima avevamo approvato la delibera di Giunta con il bilancio consuntivo 2021 (Rendiconto di Gestione per i più formali, ndr), nella frazione di secondo intercorsa tra la lettura del titolo e quella della classifica penso: “chissà come si è classificato il nostro Comune?”.

Ma nella graduatoria il comune non c’è, suppongo perché nell’immaginario collettivo si fatica ad inquadrare gli enti locali in un’ottica diversa da quella strettamente connessa all’amministrazione pubblica.

Eppure anche i comuni sono sottoposti a logiche di mercato e standard economici, ed una buona attività amministrativa non può prescindere dai numeri e da certi parametri, siano essi imposti dalla normativa o dal contesto, per fornire servizi di qualità ai propri cittadini.

Mi sono quindi chiesta quale sarebbe stato il racconto del bilancio del comune se, invece che di fronte al Consiglio Comunale (e quindi attraverso quel meraviglioso ed imperfetto meccanismo di democrazia indiretta, di fronte a tutti i cittadini), avessi dovuto illustrarlo ad un consiglio di amministrazione, magari uno di quelli algidi ed impomatati che si vedono nei film.

Sarei partita dalle componenti positive della gestione: 210 milioni di euro in crescita rispetto al 2020, un utile di 5 milioni e mezzo di euro, tempi di pagamento record ed un migliaio di dipendenti.

Infatti, con un livello di indebitamento basso, un’alta capacità di attrarre investimenti ed un portfolio di clienti che conta ben 158 mila residenti, la holding “Comune di Livorno” ha la capacità di migliorare la salute dei bilanci delle proprie società partecipate e controllate, anche in tempi di crisi, sanitaria e non solo.

Ma dovrei parlare anche delle note dolenti, o meglio di ciò che così risulterebbe alle orecchie dell’avido e temuto consiglio di amministrazione: difficoltà a muoversi con rapidità e discrezionalità nel mercato, oscillazione dei prezzi, procedure rigide e soprattutto, catastrofe assoluta, il costo dei servizi: facciamo pagare troppo poco ai nostri clienti, potremmo fare molto più utile con un ritocchino dei prezzi, signore e signori!

E via a snocciolare tabelle e dati, raccontando che gli asili nido sono costati 7,2 milioni e ne hanno incassati 2,39 di rette, che le entrate dirette dei musei hanno coperto solo il 4% dei costi, per non parlare dello sport e via dicendo.

C’è da farsi accapponare la pelle al solo pensare alle reazioni del mio consiglio di amministrazione immaginario, che, infervorato, decide: chiudiamo!

Da brava ragioniera, due conti al volo: se “l’azienda comune” chiudesse oggi, il bilancio e la cassa riuscirebbero a pagare tutti i fornitori, dismettere le partecipazioni e trarne comunque profitto.

Ma ecco che il mio fantasticare mattutino è diventato qualcos’altro, simile all’incubo di un pubblico che tanto pubblico non è. C’è una differenza sostanziale e tutta politica nel parlare di costi di personale ed investimento sul personale, tra il raccontare le procedure di evidenza pubblica come una vessante criticità ed il descriverle come azioni trasparenti ed imparziali, tra offrire servizi finanziandoli principalmente con la fiscalità generale, pur sempre soldi di tutti noi, e non farlo.

Non priva di una buona dose di autocritica so che c’è ancora strada da percorrere davanti a noi: ce n’è per far comprendere che l’amministrazione dei soldi pubblici va vista anche in chiave aziendale, altrimenti rischiamo di attuare suggestioni dalle gambe corte

Ce n’è per introiettare alcune buone pratiche sulla crescita ed il consolidamento del know-how, sulla fidelizzazione del cliente, ma soprattutto per dimostrare la sostenibilità delle scelte, le ragioni del welfare e dei diritti, della promozione sociale e della cultura.

Perché c’è un valore che nessuna contabilità potrà mai registrare, ed è quello dato dalla sensibilità amministrativa e politica, dall’incessante ricerca tra il mantenere in equilibrio il bilancio e spenderne il più possibile spendendolo bene.

I bilanci pubblici funzionano quando girano più tra le persone che nei palazzi, quando si percepiscono i loro effetti nei servizi quotidiani, nel decoro della propria città, negli investimenti ed in quanto di più prezioso possiamo offrire: fiducia ed opportunità.

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