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Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Le mani nel fango

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Ho deciso di sfondare una porta aperta, cogliendo perfettamente un argomento che in materia di comunicazione si intende come “Agenda Setting” (ovvero la scaletta di notizie “pertinenti” creata ad hoc da quotidiani e web). Odiernamente la nostra Agenda Setting  ha nelle prime posizioni il virus Ebola e l’Isis per le dinamiche internazionali, e le difficili trattative sull’articolo 18 del Governo Renzi a livello nazionale.

C’era un’incognita, e speravo veramente di evitarla, ma i mesi autunnali sono un dazio carissimo per l’Italia. Anche stavolta abbiamo inanellato il primo disastro annunciato dell’autunno 2014. E dopo Genova, leggo con tristezza di due anziane travolte dal torrente Elsa, ed anche nella nostra Maremma ritorna lo spettro di un qualcosa che speravamo di aver arginato.

Provo rabbia, sdegno, rancore.. ormai conosco lo stampo italiano, permeato dal muoversi esclusivamente dopo che tutto è già accaduto, del “ci deve scappare il morto”, della completa responsabilità imputata al “caso” ed alla “sfortuna”.. Il Bisagno ne è l’esempio trentennale, non serve aggiungere altro.

Da quasi 4 anni sono volontario nella Protezione Civile ed ogni volta che torno a casa da un intervento, chiudo la porta del mezzo e mi metto a pensare e spero egoisticamente, come ognuno di noi, che ciò non accada mai a casa mia.

Subito dopo rivedo i bambini, gli uomini, le donne che hanno perso tutto e mi si parano davanti quelle stesse famiglie che erano lì, ad aspettare me ed i miei colleghi, con i figli in braccio e le gambe in quell’acqua congelata.

L’acqua entra dappertutto, trascina via la speranza.

Ho visto uomini cercare qualcosa, grattando a mani nude e a testa bassa in un pavimento sgretolato. Ho disfatto a colpi di mazza, mobili marci di camere da letto, armadi pervasi di terra, animali morti, fango, ghiaia. Ho toccato con mano la stessa terra che aveva violato l’intimità di una camera da letto, di un bagno. Tra un sacco di sabbia e l’altro, ho cercato di rassicurare tristi bambini, incapaci di accettare di aver perso i loro amati giochi.

Ho visto fotografie di giorni andati, finire annegate in acque torbide, ricordi di una vita risucchiati dalla valvola di un’idrovora.

Il volontariato è LA (ed il maiuscolo è un abito rafforzativo e non errore) colonna portante dello stato italiano: è un filo conduttore che lega migliaia di persone pronte a dare tutto per il prossimo, tra ambulanze, incendi e calamità naturali. Il corpo volontario è innumerevole e coeso, ma questo non ne giustifica la speculazione. Uno Stato degno di chiamarsi tale, dovrebbe pianificare e prevenire. Ma la tristezza è comprendere come tutto ciò venga, anno dopo anno, meramente inserito nel “bilancio annuale di disgrazie”: siamo consapevoli di pagare, ogni volta, in termini di vite umane, beni e sudore, la negligenza di chi ha favorito speculazioni edilizie, piani regolatori ignobili, di chi si è intascato profumate tangenti e continua a sguazzare nell’alibi della “sfortuna” geologica dei posizionamenti di abitazioni.

Oggi, il 15 ottobre del 1979, nasceva Pasquale Simone Neri, probabilmente pochi di voi lo ricorderanno. Era un sottocapo della Marina Militare italiana il quale, fuori servizio, durante l’alluvione di Messina del 2009, barattò la propria vita salvando quella di 8 persone.

“C’è un bambino che piange, vado a salvarlo. Qualsiasi cosa succeda, ricordati che ti amo” sono state le ultime parole dell’eroe di Giampilieri alla sua ragazza. Il mio pensiero va a lui e a tutte queste vite rubate dall’ingiustizia, da responsabili a piede libero, da progetti di argini e scolmatori costruiti nell’effimera, ignobile volatilità delle sole parole.

Il fango è strano:  sporca le mani di tutti, macchia la coscienza di alcuni.

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