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Tatuaggi e politica: quando si supera il limite?

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Quanto la libertà di espressione rimane libertà di espressione e quando questa stessa “libertà” viene usata come un pretesto per lenire la libertà degli altri? Quanto un tatuaggio può avere valenza giuridica? Quanto quello stesso segno, è giudicato da molti, sottovalutando la reale sua gravità, semplicemente come l’espressione di “un’idea” e quando questa idea sfocia nella violenza tacita?

In fin dei conti sono stati gli uomini a scrivere la storia politica d’Italia e del resto del mondo, sono state le bandiere, gli ideali, le convinzioni. Ma riflettiamo: l’appartenenza a un certo ideale, l’appartenenza a una “classe”, l’appartenenza ad una fazione politica è stata sopratutto espressa con i simboli e con i gesti, entrambi svolti quasi sempre in silenzio o accompagnati da poche parole.

Si può parlare di libertà di espressione quando consapevolmente e nelle proprie piene facoltà si decide di tatuarsi sulla pelle in modo permanente un qualcosa che conosciamo bene come sinonimo di un disastro storico, di milioni di morti, di razzismo, di razze pure e di campi di sterminio, oltre che alla cancellazione di tutto ciò che non rientrava in comportamenti e idee prestabilite?

I tatuaggi dovrebbero essere regolamentati. Scrive una persona che ama i tatuaggi che ne ha otto e che spesso si ferma a guardare quegli degli altri, ad ammirare disegni che niente hanno ad invidiare alle opere su tela. Lo dico dopo aver assistito oggi a una situazione al quanto vergognosa a mio modesto parere. L’estate scopre ogni cosa, ogni segreto e finché scopre qualche kg in più non c’è niente di male ma quando l’estate e il caldo scoprono tatuaggi inneggianti al nazismo, con svastiche e addirittura la dicitura dell’SS, qual’è la reazione giusta da avere? Indipendentemente dall’ideale politico, dalla destra o dalla sinistra, qua stiamo parlando di estremismo marcio, malato, di apologia di reato esposta davanti a tutti, a bambini, famiglie e persone di colore, a persone probabilmente omosessuali oppure ebrei che hanno vissuto sulla propria pelle il significato di quel simbolo, e con ancora, il peso di quella storia sulle spalle. Dov’è il rispetto quando si decide e ripeto lo si fa consapevolmente di esprimere in modo così netto e tremendo quell’ideale (se ideale si può chiamare) causa di giorni che sembra molti abbiano dimenticato?

Quanto il tatuatore ha la responsabilità? Vero lui svolge semplicemente il suo lavoro, accontenta le richieste del cliente e rimane spesso estraniato dalle decisioni dei tatuaggi, ma quanto anche questo atteggiamento “al di fuori” è giusto? Quanti di questi tatuatori invece decidono di rifiutarsi di fare un tatuaggio di questo tipo? Ce ne sono molti, come molti sono quelli che rimangono “al di fuori”. Possibile condannare chi sceglie di tatuare al suo cliente certi simboli? Oppure semplicemente loro sono soltanto il tramite di menti rimaste aggrappate a un certo tipo di politica e a determinate persone? Il problema forse è più complicato di responsabilità da attribuire a chi fa il tatuaggio.

I tatuaggi hanno bisogno di essere regolamentai quando questi vanno ad esprimere certi “ideali”, quando queste libertà di espressioni sfociano i violenza tacita. C’è un limite che non va superato nel rispetto della storia e di quegli avvenimenti tragici. Ci sono tatuaggi che non dovrebbero avere la facoltà di finire sulla pelle di persone ahimè consapevoli del loro tremendo significato.

La cosiddetta legge Mancino, è una legge italiana introdotta nel 1993 che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. La legge punisce anche l’utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici.

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