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Addio Jonah Lomu

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Se ne è andato Jonah Lomu. Ha preso tra le sue grandi mani quella palla ovale, l’ha stretta forte al petto e ha iniziato a correre verso altri lidi a noi sconosciuti abbattendo tutto quello che gli si è parato davanti negli ultimi anni: ha steso la malattia renale, superato in velocità la dialisi, rotto il placcaggio di quel trapianto renale andato male ed è giunto in meta proprio sotto i pali. E noi siamo qui ad asciugarci le lacrime per la scomparsa definitiva della Leggenda del Rugby.

196 centimetri per 118 chili ed un personale di 10.8 secondi sui 100 metri piani: questi sono i numeri che danno il senso della assolutezza fisica di questo ragazzone neozelandese. Se avete visto una partita di rugby ultimamente, magari nei recenti Mondiali inglesi, avrete certamente notato che la prestanza fisica è ormai caratteristica quasi universale del giocatore di rugby di alto livello: ma nel 1999, anno nel quale la carriera di Lomu si è bruscamente interrotta per la diagnosi della malattia, si giocava tutto un altro rugby.

Questo sport negli ultimi anni si è evoluto, anche con modifiche importanti alle regole di gioco e di arbitraggio, per garantire la massima sicurezza in campo (indispensabile per favorire la diffusione anche nei paesi tradizionalmente meno vicini alla palla ovale) e aumentare la velocità delle azioni e ridurre i tempi morti al fine di aumentare la spettacolarità dei match. Questo ha portato ad un cambiamento anche nella fisionomia dei giocatori: insomma, ai tempi di Lomu lui rappresentava una straordinaria arma micidiale per ogni difesa avversaria.

Per placcare un giocatore bisogna innanzitutto piazzarsi nel suo canale di corsa, poi si allargano le braccia e si flettono le gambe ed appena giunto a tiro ci si getta con la spalla sulla cintura (o poco sotto) abbracciando il tutto e cercando di opporre la forza delle proprie gambe a quella della corsa dell’avversario, cadendo a terra. Ora, immaginatevi di placcare un treno merci bipede e avrete un’idea vaga del perchè Lomu rompesse quasi ogni placcaggio e si portasse spesso in giro per il campo un piccolo gruppetto di giocatori aggrappati alla maglia e alle gambe.

A partire dall’insorgenza della malattia Lomu è stato più volte in dialisi, ha subito un trapianto ed effettuato molte terapie, ma questo non gli ha impedito di giocare una 70ina di partite tra nazionale e squadre di club a vari livelli, continuando probabilmente a deteriorare la sua salute.

“Bel cretino, se smetteva subito e si riguardava capace ora era sempre vivo a godersi i soldi e la fama”: mi sembra di sentire l’obiezione classica di chi questo sport non lo ha mai sentito dentro. Ma cosa vi aspettate da gente di 100 chili e oltre che tracanna birra con l’avversario, dopo aver fatto a botte sull’erba verde per 80 minuti cercando di portare avanti una palla ovale potendola passare solo indietro? Siamo degli incoscienti, abituati ad andare al lavoro il lunedì con un occhio nero, che non bubbolano o non fingono dolore e che alzano il braccio solo quando non possono fare altro che chiedere il cambio.

Un mio allenatore una volta mi disse “Ricordatevi che le Leggende nascono nei giorni normali“. E nei giorni normali muoiono, aggiungo io. Addio Lomu.

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