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Post-sentenza sulle nozze gay in Gran Bretagna: una panoramica europea.

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È arrivata prima del previsto l’approvazione da parte della regina Elisabetta II della legge passata la scorsa settimana dal parlamento britannico che permette i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

A partire dall’estate 2014 le coppie omosessuali potranno sposarsi anche in Gran Bretagna. La legge che legalizza i matrimoni gay ha difatti ricevuto il sostegno reale, con l’approvazione formale della Regina Elisabetta, ed è entrata in vigore. Il disegno legge era stato precedentemente sostenuto dagli esponenti di tutti i partiti del Parlamento, ovvero laburisti, conservatori e democratici liberali, anche se alcuni esponenti hanno più volte espresso le loro perplessità su una scelta che, a loro parere, potrebbe minare il concetto tradizionale di matrimonio.

I primi matrimoni gay potranno essere celebrati dalla prossima estate, sia con rito civile che religioso, ma non su tutto il territorio della Gran Bretagna, solo in Inghilterra e Galles. Il Regno Unito, dove le unioni civili sono già consentite dal 2005, è il quindicesimo paese del mondo a legalizzare i matrimoni gay. La legge non riguarda la Scozia e l’Irlanda del Nord che hanno una legislazione autonoma sul tema.

Per quanto riguarda il rito religioso adesso spetta alle diverse organizzazioni religiose dichiarare se aderire o meno alla legge. Come noto la chiesa cattolica e i musulmani hanno già rigettato la proposta criticandola aspramente, mentre la chiesa d’Inghilterra e quella del Galles sono state escluse per legge. Chiaro è anche il giudizio del capo degli anglicani. La chiesa anglicana, maggioritaria nel paese, si è schierata contro la norma. L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, capo spirituale di 80 milioni di anglicani nel mondo, si è sempre opposto alla proposta di legge dichiarando: «Questa decisione abolisce l’istituzione del matrimonio, la ridefinisce e la ricrea. Il risultato è solo la confusione».La Gran Bretagna sarà così, a partire dal prossimo anno, il decimo paese in Europa ed il quindicesimo nel mondo dove potranno esser celebrati matrimoni fra individui dello stesso sesso.

Gli stati ad aver legalizzato il matrimonio gay in Europa ad ora sono 10 e tra questi è presente un sottogruppo formato da Francia, Spagna e Portogallo in cui la sinistra ha avuto il ruolo di centro propulsore della riforma; i Paesi Bassi, i primi in assoluto ad introdurli. Il Belgio, invece, giunse all’introduzione del matrimonio gay grazie a una proposta congiunta presentata da esponenti di ben sei partiti. In Svezia, non diversamente dai Paesi Bassi, sei furono le forze parlamentari a favore su un totale di sette. In Norvegia, qualche anno dopo, fu il governo di sinistra ad avanzare la proposta di legge e ad incassare il sostegno del Partito Liberale e del Partito Conservatore: ne scaturì una riforma tra le più “illuminate” con facoltà per le persone dello stesso sesso di sposarsi con rito civile e religioso e per le famiglie omogenitoriali di adottare e ricorrere alla fecondazione artificiale.

Il 15 giugno 2012 fu la volta della Danimarca, che ottenne l’appoggio di tutti i partiti di destra e sinistra, eccezion fatta per il Partito dei Danesi, il partito cioè della destra nazionalista e populista, noto alle cronache per la sua ispirazione antieuropeista e l’ostilità verso gli immigrati. L’Islanda, in ultimo, introdusse il matrimonio per tutti con 49 voti favorevoli e zero contrari, fornendo l’ennesimo esempio di consenso trasversale: era il 27 giugno 2010.

Venendo a noi, la questione delle unioni civili o dei matrimoni gay diventerà centrale nel dibattito politico italiano. È un punto di snodo: una legislazione aperta all’Europa su questa problematica non può che essere un sintomo simbolico di una ripresa culturale, antropologica, nonché economica del nostro Paese.

In tempo di crisi, con tante famiglie che non riescono più ad avere lo stesso tenore di vita di qualche anno fa, può sembrare una provocazione affermare che il matrimonio gay sia una tematica centrale. Eppure i Paesi più avanzati, quelli che non hanno un debito pubblico così alto, un’evasione fiscale e una corruzione così estesa – i Paesi del Nord Europa, che non si svegliano al mattino con l’ansia dello spread – hanno tutti leggi più avanzate sulle unioni civili, hanno più donne nei posti di potere e una decrescita delle nascite meno veloce.

L’Italia, dopo anni di battaglie negli anni Sessanta e Settanta, che hanno portato ad una legislazione europea sul divorzio, l’aborto e il nuovo diritto di famiglia, si è fermata. Silenzio quasi assoluto, a parte qualche episodio, del Parlamento in materia di diritti civili da quasi trent’anni. Questo è il vero spread che ci divide dai Paesi avanzati.

Tuttavia si discuterà nei prossimi giorni in Parlamento la proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia, spostata nel calendario dal 22 al 26 luglio per la concomitanza delle votazioni sul decreto detto “del fare”. Purtroppo, riguardo alla proposta di legge, sono arrivati la bellezza di quattrocento emendamenti che oggi dovrebbero essere votati presso la commissione giustizia della Camera. Una quantità di carta degna di una legge finanziaria, non di una piccola legge di civiltà che si propone di affermare l’ovvio principio che le persone non vanno odiate, discriminate o fatte oggetto di violenza solo perché sono omo o bisessuali, o trans. Un principio del tutto pacifico, si direbbe, e invece i nostri parlamentari si troveranno a dover discutere per ore, per trattare e votare tutti questi emendamenti e aggirare un ostruzionismo che si annuncia inflessibile.

Cito qui una parte di un’intervista al Premio Pulitzer Michael Cunningham, le cui battaglie per i diritti civili degli omosessuali sono storiche, sull’Huffington Post, che rispecchia quello che è anche il mio pensiero: “Penso che le proteste di piazza come quelle a cui abbiamo assistito a Parigi siano destinate a scomparire, sono solo un piccolo impedimento contingente, ma il matrimonio omosessuale è ormai una realtà, un cambiamento che sta accadendo ovunque e che non si può fermare. Se ci pensiamo, fino agli anni ’60 in America era proibito il matrimonio interrazziale, tra bianchi e neri, e oggi questa cosa ci fa sorridere…sarà così anche per le unioni gay. Tutto ciò che discrimina le persone verrà sconfitto e superato”.

A conclusione dell’articolo, anche per dimostrare l’appoggio di tutta la redazione di “Fuori come va?” al tema delle unioni tra persone dello stesso sesso, vorrei pubblicare un inno rap ai matrimoni gay. È un bel segno dei tempi il successo di «Same Love», delicato brano rap di Macklemore & Ryan Lewis (il duo rivelazione del 2013 esploso con «Thrift Shop» e «Can’t Hold Us»; duo che apprezzo particolarmente per la bravura ma anche per l’aspetto fisico).

A pochi giorni dalla storica pronuncia della Corte Suprema americana, che di fatto ha dato il via libera ai matrimoni gay in tutti gli Stati Uniti, «Same Love» sta scalando la Billboard Hot 100, la classifica ufficiale dei singoli più popolari (questa settimana è 11°), grazie a un testo che senza retorica né enfasi sostiene i matrimoni gay e nello stesso tempo condanna l’odio e l’intolleranza nei confronti degli omosessuali: «Un certificato di carta non risolverà il problema» recita il testo «ma è un buon punto di partenza. Nessuna legge ci cambierà, noi dobbiamo cambiare, qualunque sia il Dio in cui crediamo».

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