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La svolta buona? Più che altro l’ultima chiamata

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Non c’è dubbio che questo inizio di anno sia stato al cardiopalma. Ci sono state due settimane in cui ogni giudizio metteva in fuorigioco anche il più autorevole commentatore politico. Poi Matteo Renzi ha deciso di andare “all in”. Ottenuto il via dalla direzione del Partito democratico ha fatto l’ennesimo azzardo (forse quello più contestato anche da molti che lo hanno sostenuto dalla prima, dalla seconda o dall’ultim’ora): in pieno stile da Prima Repubblica, con una crisi di governo decisa all’interno del partito di maggioranza, è salito al Colle ed ha ottenuto l’incarico per formare il nuovo esecutivo.

Non nego che sia stata una mossa anche da me criticata: “ma come, proprio lui che ha fatto della legittimazione popolare il suo tratto dominante, adesso utilizza metodi che voleva superare?” Questo è stato il pensiero di molti, compreso me, in quelle ore. C’erano però alcuni che mi dicevano, e devo oggi ammettere che avevano ragione, di non commettere questo sbaglio. “Matteo Renzi è così, ama prendersi le responsabilità in prima persona e se dice che non c’è altra strada, non è un bluff, significa che non c’è altra strada. Anche se questa non è quella più amata o più facile. Non sarebbe arrivato dov’è se avesse dato retta a chi gli diceva: aspetta e verrà il tuo turno.” Io replicavo che ci volevano le elezioni e che questo “parricidio” era un errore e bla bla bla. Lo ripeto, mi sbagliavo.

Ma in cosa mi sbagliavo? Non ero certo ammattito del tutto. Mi sbagliavo nel concentrarmi sulla forma e non sulla sostanza. Mi sbagliavo nel non capire che una legittimazione politica e basata su un’agenda non più rimandabile per il paese era più forte del bon ton istituzionale. Guardavo all’immediato e non al lungo periodo…

E poi, in fin dei conti, dobbiamo ammetterlo, se l’agenda proposta da Renzi prima nel congresso del Pd e poi come Presidente del consiglio, trovasse ostacoli, la strada delle elezioni è li a portata di mano. La forma, che mi interessava tanto, si può ancora raggiungere 😀 Aver voluto fortemente la legge elettorale è la miglior arma a garanzia delle riforme: il Parlamento si blocca? Andiamo al voto. Le minoranze riottose del Pd spingono alle divisioni? Andiamo al voto. La strana alleanza con Alfano non tiene? Andiamo al voto. Suona bene come deterrente no?

Comunque eccola la sostanza, eccola li: l’agenda Renzi. La sostanza di un Pd rinnovato e per una volta con un leader carismatico e che guida governo e partito. Frase che voglio rimarcare in leggera polemica con chi continua a confondere carisma con autoritarismo o leadership con cesarismo. Un’agenda che presentata ieri dal premier più giovane della nostra repubblica è diventata concreta, è diventata realtà. Mettendo da parte l’uomo, sono queste idee presentate del Presidente del consiglio che mi interessano.

Con una conferenza stampa da manuale e che a detta dei più illustri innova in comunicazione (presentazione con slide e frasi semplici e dirette del calibro di “mille euro in più all’anno per chi guadagna fino a 1500 euro) superando anche l’epoca del berlusconismo videocratico, dopo l’adesione al PSE vissuta come elemento identitario per la sinistra italiana, dopo il braccio di ferro con Grillo ed i suoi risultati positivi, Renzi ci presenta azioni di governo che trovano soddisfatti sindacati (si proprio loro), mondo delle imprese, UE, e fa gridare addirittura all’anti-Matteo ante litteram Enrico Rossi che questa è finalmente un’agenda di sinistra.

Vi ricordate quando dicevamo che una sinistra moderna può esistere, che non moriremo democristiani, che non era in discussione la nostra storia etc.? Bang, jackpot. Finalmente abbiamo riduzione di IRAP e IRPEF, perché ridurre le tasse non è un tema di destra. Finalmente una misura che dovrebbe provocare effetti sui redditi medio bassi (si parla di 85 euro mensili in più per redditi inferiori ai 1500 euro). La copertura si trova nella tassazione delle rendite finanziarie e si salva il concetto (di sinistra) che la ricchezza finanziaria viene dopo il reddito da lavoro e da impresa, nella spending review e nell’asta delle auto blu, come dire, lo Stato si tira la cinghia. Insomma, 10 miliardi di cuneo fiscale tutti orientati verso i lavoratori. Poi, finalmente, si interviene sullo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione, azione che darà una boccata d’ossigeno alle imprese assieme alla riduzione del costo dell’energia del 10%. E ancora scuola, 3,5 miliardi per manutenzione edifici (ogni comune ha selezionato un plesso scolastico da segnalare al Ministero), fondo per i ricercatori, piano casa, e riforma del lavoro. Per quest’ultima qualche parola in più.

Il governo decide di agire con un decreto legge ed un disegno di legge. Il secondo sarebbe «una delega per riorganizzare l’intero sistema e sarà il Parlamento a discuterne», ma servirà per riordinare «l’intero sistema del lavoro dall’assegno un disoccupazione, al salario minimo, agli ammortizzatori, alla tutela delle donne in maternità». In sintesi è il famoso Jobs Act. Nel frattempo è stato approvato un decreto legge che porta a massimo 3 anni i contratti a termine e semplifica i contratti di apprendistato. E per fortuna, niente polemiche solo sull’art. 18 ma si parla tanto di giovani.

Non ci resta che guardare come agiranno gli altri attori. L’ennesimo azzardo è sul tavolino e questa volta a guardarci c’è il paese e non gli iscritti di un partito, del mio partito. Se sarà aria fritta non mancheremo da italioti di dire il classico “ve l’avevo detto”. Intanto però incrocio le dita e spero che sia la svolta buona. A parole lo è senz’altro.

 

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