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Il proporzionale redivivo e la commedia del voto

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In principio fu il Porcellum, colpo di mano, o di tacco, messo in campo dal Governo Berlusconi sul finire del 2005, a pochi mesi dalle nuove elezioni. Una legge elettorale proporzionale, con premio di maggioranza (su base nazionale alla Camera e regionale al Senato) e liste totalmente bloccate. Il tentativo finale da parte del governo di impedire la sconfitta presunta/prevista alla seguente tornata elettorale. E alla fine funzionò, anche se solo in parte. Il centrodestra infatti non evitò la sconfitta ma il Porcellum consegnò al paese un Parlamento con una maggioranza davvero irrisoria, soprattutto al Senato.

E’ solo con la celebre sentenza numero 1 del 2014, quando la Corte Costituzionale si è finalmente espressa sulla legittimità o meno della legge Calderoli, che il Porcellum è andato in soffitta. Dopo 9 anni, tre elezioni e quattro governi. Contestualmente prende vita il Consultellum ovvero la nuova legge elettorale frutto dell’intervento della Corte Costituzionale sul Porcellum. Applicabile sia alla Camera che al Senato.

Poi, arrivando all’epoca recente, nel maggio del 2015 il Parlamento italiano approva l’Italicum, la legge fortemente voluta dal Governo Renzi ed oggetto della recente sentenza della Corte. Una legge applicabile solo alla Camera dei Deputati perché, in base alla riforma costituzionale oggetto del referendum del 4 dicembre, il Senato non sarebbe più stato elettivo, cambiando composizione e funzioni.

Bocciato il referendum, arriviamo all’oggi. Il nostro paese, noto per la predilezione che sviluppa nel complicare le cose semplici, si trova con due leggi elettorali. Entrambe frutto di interventi della Consulta su testi approvati dal Parlamento (il Porcellum e l’Italicum) e profondamente diverse l’una dall’altra.

Al Senato è ad oggi vigente un sistema proporzionale puro, senza premio di maggioranza e senza capilista bloccati (aspetti eliminati dal vecchio Porcellum). Doppia soglia di sbarramento su base regionale: dell’8% per le liste non coalizzate e del 3% per le liste coalizzate. È prevista la preferenza unica e ogni collegio ha ampiezza regionale, rendendo difficile la caccia alle preferenze.

Alla Camera abbiamo di nuovo un sistema di tipo proporzionale ma con un premio di maggioranza che consegna 340 seggi (la maggioranza alla Camera si ottiene con 316 seggi) alla singola lista che supera il 40%. In caso di mancato raggiungimento di questa soglia, si passa al riparto proporzionale dei seggi tra tutti i partiti che hanno superato il 3%. Il premio va soltanto alla lista, non sono previste le coalizioni. E’ prevista la doppia preferenza (uomo e donna), i capilista bloccati e i collegi sono 100 plurinominali sparsi per tutto il paese.

Fatte queste dovute premesse, la questione politica e su cui dibattono tutte le forze politiche è diventata “quando andare a votare”.

Se qualcuno si concentrasse un pochino di più sul “come andiamo a votare” sarebbe certamente meglio per tutti. E dico per tutti, perché con questo caos normativo e con presupposti solo tecnici con cui ha operato la Consulta, nessuno e ripeto nessuno, può a mio avviso arrivare a governare davvero. Che i commentatori occasionali preparino le grida e si straccino le vesta: il giorno dopo le elezioni serviranno accordi, compromessi e alleanze di governo improbabili, perché se tutto rimane così, nessuna forza politica è in grado al momento di prevalere. D’altronde, questa sbornia per il proporzionale che ri attraversa l’Italia, fa perfettamente il suo lavoro: esistono tre poli molto vicini l’uno a l’altro, il proporzionale li trasferisce pari pari all’interno del Parlamento.

Si dirà: ma alla Camera c’è il premio. Vero. Però non c’è al Senato e alla Camera scatta soltanto laddove qualcuno raggiunga il 40% alla lista. Non alla coalizione. Per cui il Pd, Forza Italia, Lega, M5S, da soli, dovrebbero raggiungere il 40%. In passato abbiamo sperimentato la Casa delle Libertà o l’Ulivo (non veri e propri partiti, ma liste o movimenti che tenevano insieme più anime durante il voto), oggi siamo in una stagione diversa, soprattutto per il centro sinistra, dove qualcuno sta giocando a moltiplicare le liste. Esempio classico di cosa significa un sistema proporzionale: fare la propria listina, superare la soglia di sbarramento, eleggere qualche deputato o senatore, anche pochi, e poi determinare il giorno dopo le elezioni il futuro del governo o addirittura la sua formazione.

Insomma, il consociativismo è servito. Con buona pace del tentativo di alcuni, nel mio piccolo mi ci ascrivo, di spingere sulla governabilità, sul maggioritario e sul sapere chi governa il giorno stesso delle elezioni.

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