Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Fare la cosa giusta

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Caro Davide, scrivo in merito al tuo ultimo articolo “Qualcuno che mi renda orgoglio so di essere italiano”. Le cose che leggerai avrei potuto dirtele a voce, e in parte l’ho fatto. Ma ho deciso di metterle per scritto, di averle nero su bianco, perché non siano un dialogo chiuso fra me e te. Queste parole sono per il te di adesso, per il me di 5 anni fa e per tutti quelli che pensano o penseranno che non ne vale la pena.

Sintetizzando il più possibile, te dici che il nostro è un paese rovesciato: dove sono i ladri a rincorrere le guardie, dove chi non la pensa come te è un nemico da abbattere con ogni mezzo e non qualcuno con cui confrontarsi, dove non funziona niente ma dove tutti difendono tutto da tutto cristallizzando la situazione in un immobilismo perpetuo, con una classe dirigente leccaculo ed incapace di dare una qualsiasi prospettiva. Concludi dicendo che nonostante tu sia ben armato di fiducia nella Politica e di buona volontà, non ti sembra che ci siano le possibilità per invertire questa tendenza, e che tutto questo ci porterà allo sfacelo.

Tutti quelli che, leggendo il tuo articolo, ti hanno dato torto sono degli sciocchi (oppure persone molto fortunate). Purtroppo la sintesi del “Sistema Italia” è quanto mai vicino a quello che hai detto; il nostro è un paese veramente allo sbando. E quel che mi fa veramente impressione è come la classe dirigente, categoria nella quale annovero tutta la classe politica compresi partiti (quindi ci siamo dentro anche io e te, seppur con ruoli molto residuali) e amministratori, ma anche i sindacati, gli industriali, gli intellettuali e i professionisti, sia incapace di pensare e poi di proporre una idea di futuro che appassioni e coinvolga almeno la metà degli italiani. Siamo messi male e senza prospettiva.

Ma quando chiedi “Chi me lo fa fare di impegnarmi in un paese che i cambiamenti li rifiuta”, l’unica risposta possibile che posso darti è una ed una soltanto: perché è giusto.

C’era un mio amico che mi faceva sempre l’esempio dei monaci amanuensi: pensa al medioevo, un momento buio per tutta l’umanità. Ricco di malattie, di carestie, di ignoranza e della violenza. Un’epoca oscura dove superstizione e magia, oppressione e ingiustizia, sostituivano la ragione e la scienza. Pensa che questi monaci, in un periodo dove i libri venivano bruciati, passavano la vita a ricopiare e a salvare e tramandare le opere scritte che avevano a disposizione. Non potevano certo immaginare cosa sarebbe successo dopo: ma lo facevano, perché era giusto salvare quei testi dagli strazi di quell’epoca.

Oggi io e te e mille altri ci troviamo in un medioevo scintillante, ricco di pailettes e cotillons, ma non per questo meno buio. E mentre chi può abbandona questa nazione per cercare (e trovare) fortuna altrove, dove la cultura viene lasciata morire perché ha poco share, dove gli omologati e i ruffiani hanno più successo dei meritevoli e l’egoismo la fa da padrone, noi abbiamo il compito di non smettere di pensare.

Se questo paese rinascerà, prima o poi, saremo stati anche noi a tenere al sicuro il seme capace di germogliare. E se non lo farà, almeno ci avremo provato. Nessuno è obbligato a farlo, così come nessuno ce la ha chiesto (ed è per questo che anche un blog come il nostro è oggetto di critiche): ma lo facciamo perché è giusto. Beh, in bocca la lupo per noi!

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